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Il percorso del governo tecnico ha imboccato un tratto i cui tornanti politici sono sempre più stretti e insidiosi. Il voto in Sicilia domenica, le primarie del centrosinistra il 25 novembre, le elezioni regionali anticipate in Lazio e Lombardia (la data sarà la stessa?) e poi le politiche, sono tre tappe di una vera e propria via crucis per un esecutivo, come quello guidato da Mario Monti, che è supportato da partiti i quali saranno – già sono! – in piena competizione fra loro. Quando, poco meno di un anno fa, i tecnici salirono al Quirinale per giurare sulla Costituzione probabilmente già mettevano nel conto le difficoltà di reggere nell’azione di governo durante l’inevitabile campagna elettorale. Forse però sottovalutavano i tempi e soprattutto il livello di sgretolamento delle forze politiche e parlamentari. Quanto accaduto nelle ultime settimane può essere paragonato – con tutte le differenze del caso – a quanto avvenne venti anni fa, nel 1992. Oggi come allora, la velocità della rottura degli equilibri consolidati è maggiore della costruzione di quelli nuovi. Nel mezzo però c’è il governo.
 
Il premier non perde occasione di rivendicare il carattere del tutto straordinario e non fazioso del suo lavoro e del suo impegno. Non può certo escludere di dover proseguire nella sua missione a Palazzo Chigi se questo sarà richiesto o imposto dalla situazione finanziaria pubblica e dalla frammentazione che eventualmente uscirà dalle urne. Non trascurata questa ipotesi, Monti resta granitico: non si candiderà e non impugnerà nessuna bandiera di partito. Questo, paradossalmente, rende più complicato il tragitto del governo. Se nei primi mesi l’attuale ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha potuto varare importanti e incisive manovre economiche, adesso i distinguo della “strana maggioranza” sono di gran lunga meno silenziosi. Non solo c’è un dibattito nel merito delle misure adottate: ciò che emerge è la forza polemica – difficilmente contenibile – della campagna elettorale. Sinora a rumoreggiare c’è prevalentemente il Pd alle prese con le sue consuete divisioni interne e con la concorrenza interna di Nichi Vendola. Il partito di Silvio Berlusconi è così allo sbando che fatica tanto a sostenere il governo quanto a contrastarlo. Questo stato di caos però prima o poi finirà ed anche il Pdl (o quello che ne sarà) brandirà la clava della polemica. Quanto ai fedeli sostenitori di Monti, i centristi di Casini, prima o poi finiranno di porgere l’altra guancia e di sostenere acriticamente ogni iniziativa dell’esecutivo. Quanto sta accadendo sulla legge di stabilità è solo un’avvisaglia. Ed è inevitabile che sia così.
 
Le questioni – tutte politiche – che il governo tecnico ha davanti a sé sono due. La prima è riassumibile nell’interrogativo: sono sostenibili altri sei mesi così? L’obiettivo di una nuova legge elettorale è più importante di una efficace azione di governo? E’ sempre meno bizzarra l’idea di accorpare le regionali con le politiche, invece che allungando la vita ai Consigli del Lazio e della Lombardia, abbreviando la scadenza del Parlamento nazionale. Fossimo nel premier e nel presidente della Repubblica, un pensierino lo faremmo e questo per evitare una lunga fase di ingovernabilità di fatto. La seconda questione è se possibile più difficile e attiene alla crisi della politica. La valanga che sta sommergendo i partiti fa emergere come speranza la competenza espressa dai “tecnici”. Questi, che siano ministri di Monti, che siano cattolici riuniti a Todi o che siano espressione di un neo-civismo (come Umberto Ambrosoli a Milano), debbono decidere se e come essere impegnati, senza ipocrisie o vergogne. Dopo tutto quello che è successo al Pirellone o all’ombra del Colosseo con figure ormai mitologiche come Batman, non si può tornare ai vecchi candidati dei vecchi partiti. Senza offesa, ma sarebbe un passo indietro che difficilmente i cittadini accetterebbero. Chi sente la responsabilità di lavorare per il futuro del Paese e delle sue istituzioni democratiche non ha più molto tempo. O sceglie di impegnarsi oppure è meglio che poi risparmi le prediche successive. La curva più stretta per il governo tecnico sta tutta qui: nel confronto con un traguardo che è necessariamente politico.
 

Sei mesi di campagna elettorale sono sostenibili?

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