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Grazie all’autorizzazione dell’editore e del direttore, pubblichiamo un’analisi del saggista ed ex manager del gruppo Fiat, Riccardo Ruggeri, uscita sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Sergio Marchionne è stato chiaro nella sua intervista di qualche tempo fa al WSJ e ancora l’altro giorno da Detroit: a) la fusione Fiat-Chrysler è inevitabile e avverrà nel 2014 (tecnicamente è fattibile anche nel 2013); b) Fiat Auto ha i quattrini per acquistare il 41,5% di Chrysler, oggi del fondo pensione Veba; c) Fiat attende il giudizio del Tribunale del Delaware sull’interpretazione di una clausola-formula di calcolo del contratto Chrysler: il 3,3% di Chrysler vale 140 milioni di dollari come dice Marchionne o 342 come sostiene Veba? Finalmente si parla di business, di partecipazioni, di valutazioni delle due aziende, in modo che gli investitori possano capire la situazione, la qualità del management nella gestione delle attività, il loro destino finale.

Un passo indietro. Fiat nacque con uno slogan affascinante «Terra, Mare, Cielo». Nel corso degli anni, perse il Mare, perse il Cielo, la Terra si identificò con le Ruote, di dimensioni e caratteristiche diverse: automobili, veicoli industriali-militari-bus, trattori-macchine movimento terra. Tutti, analisti compresi, costantemente confusero Fiat con Fiat Auto. Con il licenziamento di Vittorio Ghidella nel 1988 iniziò il declino (irreversibile) di Fiat Auto, mentre il management di Iveco e New Holland (poi CNH) poté operare con grande autonomia, entrambe furono ristrutturate e riposizionate strategicamente, divennero aziende di successo di livello internazionale.

Invece Fiat Auto, sempre gestita in doppia guida Proprietà-Management, mai fu correttamente riposizionata strategicamente, continuò ad essere una fornace di cassa, per salvarla furono venduti i gioielli di famiglia (primo fra tutti Toro Assicurazioni), senza costrutto alcuno. Solo qualche anno fa Iveco e CNH, grazie a Marchionne, furono staccate dal corpaccione malato di Fiat Auto ed ebbero i riconoscimenti che meritavano, un grande trentennale equivoco fu sanato.

Quando gli analisti scrivono «all’arrivo di Marchionne nel 2004 Fiat era fallita» dicono il falso: Iveco e CNH erano redditizie e ben gestite fin dagli anni ’90, Fiat Auto (con meno del 50% del fatturato aveva oltre il 90% delle perdite) era tecnicamente fallita fin dal ’90 e tale era nel 2004, e tale è oggi (al netto di Chrysler).

Questo per rispetto della verità, situazione da noi investitori perfettamente conosciuta. In Italia, su Fiat Auto si persero energie e tempo per discutere, anziché dell’agenda «riposizionamento strategico», di problemi normativo-sindacali circa Fabbrica Italia. Un esempio per tutti. Uno dei tanti accordi cosiddetti dirimenti fu quello sulla postura dell’operaio di linea e le «pause». Dopo 18 mesi, Marchionne cambia strategia di prodotto-mercato, non più auto dei segmenti medio-bassi ma auto di gamma alta, Fabbrica Italia è seppellita.

Con lei sono seppellite pure le logiche della postura e delle pause che trovavano una loro logica con operazioni elementari al di sotto del minuto (auto piccole-medie), irrilevanti se si producono vetture di gamma alta, ove le operazioni elementari sono oltre i tre minuti. Questo aspetto, banale per chi sa come si costruisce un’auto, mai emerse negli infiniti dibattiti sui massimi sistemi di politica industriale.

Dopo la ultime dichiarazioni di Marchionne al WSJ e a Detroit, ora la strategia Fiat Auto è chiara: «Fusione e Ipo», al limite prima l’una poi l’altra (strategia obbligata: è da anni che lo scrivo). Finalmente si può ragionare seriamente. Da ora in avanti, la figura di Sergio Marchionne nel processo che ne seguirà diventerà ancora più strategica, con problemi che farebbero tremare i polsi a qualsiasi supermanager.

Esistono più Marchionne, vediamoli. Sergio pronunciato all’americana dagli operai Chrysler che lo stimano e lo amano, al quale devono tutto. Forse non hanno colto che se oggi hanno i «prodotti», lo devono ai tedeschi della Daimler che, oltre a «buttare» nella fornace Chrysler 60 miliardi di dollari, l’hanno dotata di un management tecnico di prim’ordine: i modelli ora in uscita hanno l’imprinting tecnico-tecnologico tedesco.

Mr. Marchionne pronunciato all’americana dai gestori del fondo pensionistico Veba, non disponibili a fare sconti sul prezzo delle azioni Chrysler in loro possesso, vogliono il cash per investire i loro capitali pensionistici su altri business (corretto ma curioso, no?). Sergio pronunciato con inflessioni piemontesi dagli Agnelli-Elkann che vorrebbero mantenere il ruolo di azionisti di riferimento della nuova Chrysler Fiat senza tirare fuori quattrini, quindi con un acconcio rapporto di concambio.

Dottor Marchionne pronunciato con rispetto dal governo italiano, terrorizzato che in questa grande partita finanziaria si verifichi l’opzione peggiore (sottovoce si chiedono: il nuovo piano Fiat del «lusso» finirà mica come Fabbrica Italia?), e loro debbano farsi carico delle casse integrazione in deroga. Quel Marchionne pronunciato con tono astioso dalla Sinistra italiana, certa che finirà male per i dipendenti per la fuoruscita di Fiat Auto.

Sergio Marchionne pronunciato senza accenti dagli investitori storici che vogliono massimizzare l’investimento, indifferenti al resto, lo stesso sarà per gli investitori che sottoscriveranno l’Ipo, individui abituati a giudicare in base ai risultati e solo in seconda battuta in base ai piani. Caro Sergio come penso si rivolga a se stesso, consapevole di giocarsi in 12-18 mesi l’immagine di una vita: dopo l’Ipo, il giudizio su di lui sarà definitivo. In teoria, come Ceo, dovrebbe fare gli interessi di tutti gli attori coinvolti, e lo sta facendo, ma col «giochino» che si ritrova fra le mani mi pare oggettivamente impossibile: una scelta credo si imporrà, per alcuni degli attori il futuro sarà malinconico.

Il caso Chrysler Fiat Auto ha imboccato l’ultimo miglio, quello in cui tutti gli attori si giocheranno tutto, ove non c’è spazio per le chiacchere o peggio per le ideologie: contano solo i numeri, i quattrini per liquidare Veba, la necessità che non vi sia assorbimento di cassa, avere idee, determinazione, credibilità personale. Vediamo come.

Secondo contratto, Fiat può comprare il 3,3% di Chrysler dalla fine del 2012, e può ripetere identica operazione ogni 6 mesi fino a raggiungere il 16,5%. In questo modo, la quota Fiat raggiungerebbe il 75%. Sul valore del 3,3% c’è un contenzioso in atto al tribunale del Delaware: Fiat sostiene che il valore del 3,3% è pari a 140 milioni di dollari, mentre VEGA sostiene che il valore è 340 milioni, in quanto i valori fissati nel 2009 sono oggi completamente diversi, a favore di Chrysler. Inoltre Marchionne sostiene che c’è stato un clerical mistake nella stesura dell’accordo (cioè si è sbagliato), dove è scritto Fiat North America, lui intendeva Fiat S.p.A.

La differenza di valore, a seconda delle interpretazioni, vale 200 milioni di dollari, ma la decisione del Tribunale, o un accordo fra le parti, può valere per tutto il 16,5% che Fiat vuole comprare; nell’ipotesi più sfavorevole (Fiat perde la causa in essere) il 16,5% costerebbe 1 miliardo di dollari. Ciò significa: a) Fiat deve trovare un accordo in tempi brevi se vuole fare il consolidamento Fiat-Chrysler e poi l’Ipo; b) Veba vuole massimizzare il valore della sua quota, ma l’alternativa di chiedere una Ipo immediata (che gli sarebbe concessa) pare quantomeno azzardata: Veba è in minoranza e il mercato la considererebbe una Ipo anomala.

Vediamo come si configurano interessi-prospettive dei diversi attori coinvolti. Per i lavoratori Chrysler non dovrebbero esserci problemi, anzi è possibile che alcuni modelli Fiat Auto vengano costruiti o assemblati negli Usa per il completamento gamma, inoltre altri modelli potrebbero essere solo commercializzati, con grande soddisfazione della rete commerciale. Su questo versante Marchionne non solo non avrà problemi, ma aiuti.

Veba ha già dichiarato il suo disimpegno, vuole solo cash per investire altrove, approfittando del momento favorevole. Questo può indurre Veba a cercare un compromesso sul valore. Il valore del 3,3% e del 16,5% costituisce comunque un riferimento importante per l’Ipo specie se fosse Veba a chiederlo. È noto che i mercati non amano le Ipo forzate dalle minoranze. Nessuna minaccia su questo versante per Marchionne, se non il pericolo di pagare a caro prezzo la quota Vega. Ha cassa a sufficienza?

Per Sergio Marchionne la Fusione-Ipo è la partita della vita, non è solo una questione di bonus, ma di successo-insuccesso personale. Credo che Marchionne, in quest’ultimo miglio, darà il meglio di se stesso: questa è una fase ove non conta essere un grande manager, ma avere le skill tipiche del Ceo di una banca d’affari. Senza offesa verso Goldman come investitore nella fase Fusione-Ipo preferisco Marchionne a Blankfein. Se tutto andrà come si ipotizza, a Fusione-IPO conclusa, Chrysler-Fiat avrà sì degli azionisti, ma un padrone, lui. Chapeau.

Il consolidamento Fiat-Chrysler, e successiva Ipo, salva Fiat Auto da un degrado irreversibile, sposta le operazioni della newco a livello mondo, dà prospettive di espansione, sinergie e management internazionale. L’po, anche con una Fiat Auto stremata, potrebbe essere un buon successo, non solo per il cash in arrivo dall’Ipo, ma anche sul piano strategico-operativo. Con una massa critica decisamente superiore, con nuovi azionisti, potrà fare nuovi accordi o acquisizioni in altri mercati. Tutto bene, ma ci vuole cassa.

Gli attuali azionisti Fiat non dovrebbero soffrirne, vista la drammatica situazione di Fiat Auto; molto dipenderà dal concambio che verrà stabilito in fase di consolidamento, dal prezzo delle nuove azioni e comunque dal giudizio del mercato in fase di Ipo. Altrettanto vale per gli azionisti di riferimento, Famiglie Agnelli Elkann, che sono più influenzati dalle modalità e dalla tempistiche con cui avviene la fusione (prima o in contemporanea all’Ipo? quando avverrà la diluizione?).

Ma ormai sono consci che l’epoca della «rilevanza» in Italia era già passata con Gianni Agnelli regnante, figuriamoci con un domani come questo. Tecnicamente non vedo criticità: il mercato e gli analisti al momento dell’Ipo giudicheranno i track records delle società consolidate per prodotto e mercato, (interessante capire come sarà valorizzato in prospettiva il Brasile, dopo la decisione di VW di investirvi oltre 3 miliardi), e l’affidabilità dei piani pluriennali presentato nel prospetto. Marchionne sa che i piani verranno analizzati «sliced and diced»…

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