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I rapporti fra gli Stati stanno cambiando. La conseguenza più importante è che quasi tutti i Paesi stanno perdendo la loro sovranità di fronte alla strapotenza della finanza internazionale. Il discorso vale per tutti i Paesi del mondo tranne due: Stati Uniti e Cina. Mentre cambiano i rapporti di forza politici, cambiano profondamente anche i rapporti nel mondo economico: la finanza e la speculazione hanno assunto un ruolo dominante rispetto all’economia reale e a quella industriale.
 
Il rapporto tra speculazione ed economia reale è determinante per i destini e gli equilibri del mondo. La speculazione, che prima era in un certo modo proporzionata al movimento reale dell’economia, oggi è arrivata a muovere 70-80 volte il denaro necessario per comprare e vendere beni. La speculazione che agisce contro un singolo Paese può solo vincere, anche perché è cambiata non solo in quantità ma anche in qualità. In questo quadro il rapporto fra la finanza e la politica si trasforma completamente: la sovranità si sposta.
 
Quando ha inizio un attacco speculativo nessuno può resistere. Solo coloro che hanno una dimensione gigantesca sono salvi, perché la speculazione non li attacca. In questo momento unicamente la Cina e gli Stati Uniti sono sufficientemente forti per resistere. Anche la Russia (che è un Paese con grandi riserve) può ritenersi sovrana finché il petrolio rimane sopra gli 80 dollari al barile. Se il prezzo del greggio dovesse scendere anche la Russia diventerebbe attaccabile, perdendo sovranità.
Per questo, a mio giudizio, non solo l’Italia ma tutti i Paesi europei possono salvarsi solo con l’Europa. Condividendo la sovranità con altri Paesi europei, l’Italia e tutti gli altri membri dell’Unione saranno forti abbastanza per riconquistare la propria sovranità.
 
L’Europa ha conosciuto significativi progressi in ondate successive: il mercato unico, la regolamentazione dei diritti delle persone, la libera circolazione delle persone e delle merci. Con l’allargamento agli ex satelliti dell’Unione Sovietica ha anche esportato democrazia. Non con la guerra ma con la pace. Fino ad arrivare a un fatto che non si era mai verificato nella storia: la messa in comune della moneta. Essendo la moneta e l’esercito i pilastri dello Stato moderno, se si mette in comune la moneta si cambia la natura stessa dello Stato.
 
L’Unione monetaria per anni ha dato un contributo positivo all’economia e alla politica europea, abbassando l’inflazione, il costo del denaro e il tasso dei mutui. Il reddito pro-capite è cresciuto come, se non più, degli Stati Uniti. Nessuno pretende che cresca dell’8-9% come la Cina, ma almeno il 2-3% dovrebbe essere l’obiettivo di lungo termine. Fin dall’inizio della crisi ci siamo molto allontanati da questo obiettivo.
 
I dati macroeconomici mostrano inoltre che l’economia pubblica della zona euro sta molto meglio di quella degli Usa. Abbiamo meno deficit pubblico, abbiamo istituzioni finanziare più sane. Nonostante le banche europee, all’inizio della crisi, fossero molto più sane di quelle americane, la crisi ha colpito molto violentemente l’Europa perché siamo divisi di fronte alla dimensione dei mercati finanziari internazionali.
 
Riguardo alla evoluzione dei rapporti fra politica ed economia, l’Asia costituisce un esempio molto interessante. Giappone, Cina e Corea del Sud hanno fra loro forti contrasti politici, ma economicamente stanno creando un aggregato con una forza impressionante, tanto forte che quando si è verificato il terremoto in Giappone, si sono fermate migliaia di fabbriche in Cina, perché la catena del valore tra i due Paesi è ormai strettamente collegata.
Anche l’Europa e gli Stati Uniti dovrebbero ragionare sulla necessità di costruire una catena di offerta e di imprese integrate tra loro, con una forza capace di vincere questa grande sfida. La Germania da sola non basta: anche la Germania ha bisogno di tutti i Paesi europei.
 
L’Italia in questa sfida non è un giocatore periferico, essendo il secondo produttore industriale d’Europa: anche il contributo italiano è necessario per creare una forte Europa. Quando siamo entrati nell’euro avevamo un debito rispetto al Pil del 121%, il mio governo l’ha portato rapidamente al 114%, poi i protagonisti successivi lo hanno riportato al 121%. Si trattava di un livello sopportabile, anche se pesante, perché i tassi di interesse si erano abbassati proprio in conseguenza della costruzione dell’euro. Poi improvvisamente la crisi e la mancanza di grandi leader politici ha spezzato questa solidarietà.
 
Senza solidarietà il problema diventa estremamente difficile da risolvere, perché quando lo spread si innalza come è avvenuto nell’ultimo periodo gli interessi salgono alle stelle, portando ancora più in alto il livello di indebitamento. Quindi la mancanza di solidarietà diventa un problema estremamente serio. Da parte tedesca c’è la convenienza di evitare che l’euro si dissolva: mai, nella sua storia, la Germania ha avuto un surplus di bilancio commerciale come oggi (nell’ultimo anno ha avuto circa 190 miliardi di euro di surplus commerciale). Si tratta di un avanzo che, a parità di prodotto nazionale, non ha nemmeno la Cina.
 
Nel caso l’euro si sciogliesse è chiaro che avrebbero inizio le svalutazioni in Italia, in Francia e in tutti gli altri Paesi e i tedeschi vedrebbero crollare il livello delle loro esportazioni. Uscire dall’euro sarebbe una marcia indietro per tutti i Paesi europei.
Tuttavia l’opinione pubblica tedesca pensa che la Germania sia il martire dell’euro e, soprattutto, pensa ormai che essa possa affrontare da sola la sfida moderna.
I passi compiuti fino ad ora contro la speculazione vanno nella giusta direzione, ma non sono sufficienti per cambiare le cose.
 
Per fare in modo che si riacquisti la sovranità si debbono almeno prendere tre decisioni. La prima è che la Banca centrale europea abbia la stessa sovranità della Federal reserve, ovvero possa gestire completamente la moneta; la seconda è la creazione dei benedetti (o maledetti) eurobond, cioè di buoni del tesoro europei, con una dimensione così grande da non essere attaccabili dalla speculazione. Il terzo passaggio è un bilancio europeo adeguato agli obiettivi dell’Unione europea.
Pochi sono a conoscenza che tutta assieme l’Unione europea ha un bilancio inferiore all’1% del Prodotto nazionale lordo europeo. Se succedono degli scompensi tra Paese e Paese non si riesce a trasferire risorse. Perché nessuno pensa di dichiarare il fallimento della California quando il suo bilancio non è certo meglio di quello della Grecia? Perché la California è uno Stato federale degli Stati Uniti. E la Grecia vive in un’Europa non federale.
Anzi più si è aggravata la situazione greca più la Grecia è stata abbandonata!
 
Tenuto conto dell’inadeguatezza dei leader europei di fronte alla grandezza dei problemi, avremo ancora un periodo di tempesta. Tuttavia quando arriveremo sull’orlo del precipizio, sono convinto che la saggezza trionferà. Ma la temibile lunghezza di questo processo – dobbiamo ben saperlo – sta danneggiando fortemente il nostro sviluppo e il nostro ruolo nel mondo.
Oggi tuttavia il desiderio di Europa è ancora molto forte. C’è scetticismo, c’è difficoltà, ma non è cessata l’aspirazione a quel livello di “super-nazionalità” di cui il mondo ha quanto mai bisogno e di cui l’Unione europea è l’unico vero esempio nel mondo.
 
Sintesi del discorso tenuto presso l’Università per stranieri di Perugia, per gentile concessione dell’autore

La pochezza dei leader non fermi l'Unione

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