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Sono ambedue tipi di ricercatori utili, che ci tengono a ridurre la sofferenza nel mondo, ma a me francamente interessano più i secondi, forse per il fatto che i benefici di una loro corretta analisi sono molto maggiori dei benefici delle analisi dei primi.
 
E’ quello che mi viene in mente leggendo e confrontando, grazie alla ottima intuizione di un bravo economista italiano, Giulio Zanella, due lavori scientifici di qualità, sull’impatto delle politiche fiscali sul PIL (e dunque anche sull’occupazione).
 
Un lavoro, di Alesina, Favero e Giavazzi, studia l’impatto di manovre restrittive da parte di Governi che con tale azione non desiderano tuttavia reagire a variazioni del ciclo economico ma alla volontà (politica) di ridurre il deficit pubblico. E mostra che per questi Governi la riduzione delle spese è meno recessiva che l’aumento delle tasse. Insomma, se volete morire, fatelo riducendo la spesa, sarà meno doloroso.
 
Perché dico questo? Zanella spiega che la loro analisi è importante perché: È di ovvio interesse capire cosa sia meno dannoso per l’economia, nel senso di meno recessivo: se il consolidamento fiscale è necessario per evitare il collasso delle finanze pubbliche (e se a causa di miopia politica siamo costretti a farlo nel mezzo di una recessione anziché, come sarebbe saggio, durante un boom) dobbiamo scegliere un modo di realizzarlo che non aggravi ulteriormente la crisi produttiva e occupazionale in atto. A molti piace chiedersi se è quindi meglio tagliare la spesa o aumentare le tasse.
 
E se potessimo fare meglio? E se potessimo invece non fare cose “meno dannose”, ma “cose utili e giuste”? E se il consolidamento fiscale non fosse necessario per evitare il collasso delle finanze pubbliche? E se potessimo prevenire il crimine piuttosto che uccidere gentilmente (killing softly) il criminale?
Ma come, direte voi. Zanella afferma, sulla base dei risultati di Alesina, Favero e Giavazzi (AFG) che “L’Italia si trova in una fase recessiva ed è costretta a un importante aggiustamento fiscale. Secondo AFG questo dovrebbe consistere prevalentemente di tagli alla spesa pubblica”. Ecco, questo non è vero, non lo dicono.
 
Non lo dicono perché 1) AFG non considerano se una economia è in recessione o meno ma se la manovra di finanza pubblica causa più o meno recessione e 2) AFG non considerano governi “costretti a un importante aggiustamento fiscale”, ma governi che scelgono di fare “importanti aggiustamenti fiscali”.
 
Mi si lasci far apprezzare la seconda sottile distinzione. Sono cioè paesi che hanno un governo che, no, non reagisce a condizioni del ciclo economico, ma che ha un suo desiderio di stabilizzazione fiscale, probabilmente per motivi ideologici. Probabilmente è stato eletto sulla base di queste sue convinzioni ed ha dalla sua parte una buona parte dell’elettorato, che ha dunque grazie a questo Governo aspettative positive sul futuro ed è disposto ad accettare con ottimismo e senza stormir di fronde le decisioni governative.
 
Nulla a che vedere con la situazione italiana, dunque, dove 1) ci troviamo già nel mezzo di una recessione, e dove 2) l’aggiustamento fiscale ci verrebbe imposto dall’Europa contro il volere della maggior parte della popolazione, sfiancata e pessimista e pronta a protestare contro le misure governative. Quindi, a causa delle sue stesse assunzioni, c’è poco di questo studio da utilizzare per applicarlo al caso italiano: cosa che AFG tra l’altro evitano accuratamente di fare.
 
Zanella acutamente nota come lo studio di AFG ha un’altra “peculiarità”, che rende (non secondo Zanella ma certamente secondo me) i risultati poco rilevanti nell’attuale dibattito italiano: include nella minore spesa pubblica i minori trasferimenti che, come è noto, spesa (domanda) non sono ma mera redistribuzione da alcuni cittadini ad altri e che non generano minore o maggiore domanda alle imprese – se non per effetti minuscoli dovuti alla propensione diversa a consumare di chi riceve i soldi trasferiti rispetto a chi li versa. E gran parte di questi Governi considerati nel lavoro di AFG, nota Zanella, fanno, per ridurre il deficit, tagli dei trasferimenti. Con il che abbiamo un motivo in più per non calare questo interessante lavoro sull’Italia, perché Monti si sta concentrando, assieme a Bondi, sul tagliare la spesa vera, quella che genera domanda di beni, quella per beni e servizi. Ed è dunque di questa che vogliamo conoscere l’impatto sul PIL, che comunque è ben più ampio di quello dei trasferimenti!
 
Insomma, Piga, ma cosa vuoi?
 
Oh semplice.
 
Vorrei uno studio che mi facesse vedere, in quei periodi così drammatici chiamati recessioni, cosa succede al PIL ed all’occupazione, ma anche al rapporto debito-PIL, se:
 
a) Aumento le tasse o
b) Diminuisco le spese pubbliche o
c) Aumento le spese pubbliche o
d) Diminuisco le tasse.
 
Dove con spesa pubblica intendo ovviamente quella che genera domanda al sistema economico, acquisti di beni e servizi o investimenti pubblici, non i trasferimenti. Quella che sto raccomandando di aumentare, solo durante questo ciclo economico brutale, per salvare l’Europa (e lo faccio da quando è nato questo blog!).
 
Senza ovviamente nessuna distinzione tra politiche dovute ad una reazione al ciclo economico o a volontà politica di ridurre o aumentare il deficit: le voglio tutte, senza distinzione, per capire come prevenire il crimine e non uccidere nessuno, e cioè portare a casa crescita economica e stabilità di finanze pubbliche.
 
Beh si dà il caso, appunto, che grazie all’intuito da esploratore di Zanella e di Tonia Mastrobuoni giornalista della Stampa, questo studio esiste e non è niente male, una leccornia direi. Non solo perché è scritto da tre italiani (qui non c’è differenza con AFG) ma specie perché è appena uscito stampato dal Fondo Monetario Internazionale nella sua prestigiosa collana di Working Papers. Già, quello stesso Fondo Monetario Internazionale che deve ora consigliare Draghi e Monti su come si fanno le condizionalità di politica economica a fronte di tetti anti-spread della BCE.
 
Ebbene, siete pronti a sentire come si fanno?
 
Analizziamo bene i risultati di questo signor lavoro empirico di Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanni Melina, freschi di stampa, luglio 2012:
 
a) Indipendentemente dalle condizioni del ciclo economico, le manovre fiscali restrittive via minore spesa pubblica riducono nel breve periodo il PIL. Se sono iniziate in una recessione lo riducono su tutto l’orizzonte temporale della simulazione.
b) Attuare politiche di consolidamento fiscale in periodi di crescita economica negativa è decisamente peggiore che in periodi di crescita economica positiva (anche in questi casi la politica fiscale di più tasse o meno spesa fa comunque scendere il PIL, ma meno);
c) Nelle recessioni, i tagli di spesa fanno più male (al PIL) che gli aumenti delle tasse. Gli aumenti di spesa fanno invece “più bene” che le diminuzioni delle tasse.
d) Se nelle recessioni si taglia la spesa (e il PIL comunque cala, come detto sopra) è meglio farlo gradualmente che non bruscamente. Ovvero, se nelle recessioni si aumenta la spesa pubblica (ed il PIL comunque aumenta) è meglio farlo bruscamente che non gradualmente.
e) Addirittura leggiamo che “”nel contesto europeo, un credibile impegno per una attuazione responsabile del Fiscal Compact potrebbe essere necessaria.” Dove per “responsabile” si intende manovre restrittive più graduali.
f) Le riduzioni di spesa pubblica durante le recessioni tendono nell’area euro a far aumentare i tassi d’interesse reali via deflazione non compensata da politiche monetarie sufficientemente espansive.
g) Le riduzioni della spesa pubblica, specie se ampie, in media, ritardano la transizione verso la ripresa economica, perché rendono la recessione nel periodo successivo più probabile. Nel primo trimestre dopo la riduzione di spesa pubblica la probabilità di entrare in un regime recessivo aumenta di 15 punti percentuali, nell’area euro.
h) In Italia, con una diminuzione brusca della spesa pubblica il livello del debito pubblico sul PIL comincerebbe a scendere solo dopo 14 trimestri contro i 12 di un approccio più graduale alla riduzione della spesa (purtroppo non mostrano cosa succederebbe al debito sul PIL in caso di aumento di spesa pubblica finanziato da aumento di tasse oppure con un aumento di spesa in recessione seguito da raglio di spesa in espansione).
 
Particolarmente importante per me e per quel che sostiene il blog da tempo è il punto c): gli effetti della spesa pubblica essendo più potenti delle tasse, la mia proposta (p.s.: di Stiglitz, l’ho solo rubata) in recessione di aumentare la spesa pubblica con pari aumento delle tasse (senza deficit) è decisamente espansiva. Peccato che gli autori non ne esaminino l’impatto sul rapporto debito-PIL: che sarebbe ovviamente quello di farlo calare, con PIL che cresce. Spesa pubblica espansiva oggi, senza deficit, maggiore PIL, minore debito-PIL, minori tassi d’interesse e parte il circolo virtuoso che permette a quel punto di rafforzare l’Europa come Unione da applaudire ed amare perché genera crescita e non sofferenza, finendo poi, nella ripresa, per riabbassare i livelli di spesa pubblica, l’unica cosa che i governi europei non hanno mai sorvegliato e preteso, e Dio sa se dovevano farlo allora, altro che austerità oggi.
 
Ora, dato a Cesare quel che è di Cesare, non resta che aspettare. Aspettare che il Fondo Monetario Internazionale non consigli a Draghi e Monti ed a tutti i Fondi Europei che ci siamo inventati in questi mesi di fare quello che Spike Lee ha sempre sostenuto: the Right Thing. Prima, ovviamente, che la faccia qualcun altro.
 
Grazie a Carlo Clericetti.
 

Fate la cosa giusta

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