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Nell’attuale momento storico il nostro Paese ha avuto una battuta d’arresto per quanto riguarda le riforme costituzionali. Anni di dibattito politico, di visioni trasversali e di proposte più o meno condivisibili, sembrano non avere più posto nell’agenda politica. Il motivo è semplicemente legato all’eccezionalità della crisi che sta investendo tutta l’Europa, una crisi che impedisce di effettuare quelle riforme che un sistema necessita per adeguarsi al tempo in cui opera.
 
Il percorso che si era tracciato, e in parte attuato, di riforma in senso federale del nostro ordinamento è tutto racchiuso in una legge delega (n° 42/2009), che trova la sua fonte nella riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione, e negli otto decreti attuativi.
La scelta di un certo tipo di federalismo fiscale, non è priva di risvolti nella società e nella vita dei singoli individui. Di fondamentale importanza appare la previsione di un fondo perequativo che riesca a allineare il sud del Paese con il nord. La parità di opportunità dei mezzi di partenza è garanzia sia per le aree più ricche sia per quelle economicamente depresse, ciò perché in tal modo si potrebbe raggiungere quell’autonomia negli impegni di spesa che graverebbe su chi fa una certa scelta politica. Ovviamente ciò non può gravare sui servizi minimi essenziali uniformi in tutto il Paese, per far sì che ciò sia sostanziale bisogna puntare su un federalismo di tipo solidale, che miri a uno sviluppo equilibrato e armonico di tutto il territorio.
 
La peculiare posizione in cui si trovano le Regioni ad autonomia differenziata, già prima della riforma, è stata ed è una “finestra” sul federalismo, soprattutto la posizione della Regione siciliana nell’ambito dell’ordinamento italiano.
Autonomia nell’introduzione di nuovi tributi, possibilità di concedere agevolazioni fiscali e sistema perequativo sono da sempre le caratteristiche del sistema regionale siciliano. Fin qui la forma, ma nella sostanza non è mai stata esercitata pienamente tale autonomia. Da un lato importanti sentenze della Corte costituzionali hanno sancito i limiti dell’autonomia tributaria, dall’altra il sistema di perequazione non ha funzionato come avrebbe dovuto, lasciando di fatto l’ente privo delle risorse necessarie sia per finanziarsi sia per una pianificazione organizzata degli obiettivi da raggiungere.
 
La Regione siciliana si ritrova nel paradosso di avere riconosciuto uno Statuto espressione di un’ampia autonomia, ma nei fatti il suo sistema è altamente influenzato dalle scelte del sistema centrale.
Il dato che può essere estrapolato è di matrice europea. Oggi l’Europa, attraverso tutti gli interventi a sostegno delle diverse aree dell’economia, “impone” una grande competenza per potere intercettare i finanziamenti e le opportunità. Il nostro Paese, ad oggi, annualmente perde gran parte delle risorse che potrebbero essere destinate a progetti italiani. Un sistema di tipo federale, ma solidale, potrebbe dare quella responsabilizzazione maggiore agli enti decentrati, che oggi manca. Ciò è possibile soltanto attraverso l’attribuzione di strumenti di tipo legislativo e finanziario agli enti regionali, tutto ciò non escludendo un certo grado di responsabilità da attribuire nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi che il sistema generalmente si pone.
 
Antonio Marchetta

Federalismo fiscale, a che punto siamo? Uno sguardo in Sicilia

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