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Mentre l’Europa reagisce alla crisi dello Stato assistenziale con una pressione fiscale sempre più alta e mentre l’America si appresta a decidere se seguirne l’esempio, la Cina si prepara ad andare nella direzione opposta.
 
In Occidente si ama descrivere la Cina come una società sempre più in crisi, incerta sulle prospettive, divorata dalle disuguaglianze e dai conflitti sociali, prossima alla disintegrazione, in invecchiamento accelerato e destinata al collasso. La Cina sta certamente affrontando una fase delicata, ma questi giudizi, più che il risultato di valutazioni obiettive, sono spesso la proiezione delle nostre paure, delle nostre invidie e di un perdurante complesso di superiorità. Si pensa cioè che la Cina dovrà per forza seguire la strada che abbiamo percorso noi e si desidera, più o meno consapevolmente, che abbia presto a pagare gli stessi pesanti prezzi che stanno toccando a noi.
 
Data l’importanza della Cina per la tenuta dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, per le materie prime e per le nostre esportazioni (unico fattore di crescita che può compensare il calo costante dei consumi interni europei), proviamo a dare un’occhiata ad alcuni degli aspetti più critici.
 
La questione demografica
 
Cominciamo con il più strutturale di tutti, la demografia. La politica del figlio unico è in vigore ormai da 34 anni e gli effetti si vedono da qualche tempo in tutta la loro evidenza. Per molti commentatori occidentali si tratta di un duplice disastro. I cinesi vedono le cose in modo diverso. Da una parte fanno notare l’ipocrisia di un Occidente che parla di diritti umani conculcati e che però manda in giro per i paesi poveri agenzie a finanziamento pubblico che promuovono la più bassa natalità possibile. Dall’altra ritengono che avere evitato 300 milioni di nascite dal 1978 a oggi sia in realtà, in un mondo in cui le risorse sono sotto pressione, un titolo di merito che dovrebbe essere loro riconosciuto.
 
L’immigrazione dalle campagne, che durerà ancora un paio di decenni, porterà nelle città 10-15 milioni di persone ogni anno e sarà sufficiente, insieme a un aumento dell’occupazione femminile, a garantire lo sviluppo. Quanto al welfare e ai suoi costi, va ricordato che la Cina sta cercando di costruirlo fully funded, non con lo scriteriato sistema euro-americano che nasconde sotto il tappeto decine di trilioni di passività future.
 
Le reazioni cinesi al rallentamento della crescita
 
Un altro aspetto che inqueta non poco l’Occidente è il rallentamento della crescita. Diminuiscono gli investimenti dall’estero, l’edilizia di qualità è in brusca frenata, l’industria pesante soffre di sovracapacità, la borsa di Shanghai è ai minimi dal 2009.
 
Si invocano misure espansive. Si chiedono alla Cina più spesa pubblica, più infrastrutture, più credito e un costo del denaro più basso. In effetti la Cina postmaoista, nei suoi 35 anni di storia, non ha disdegnato le misure keynesiane sul lato della domanda, ma non ne ha mai abusato. Ha cioè usato la spesa pubblica solo in tempi di crisi (dopo la crisi asiatica e dopo la Grande Recessione del 2008) e non ha mai aumentato la spesa corrente (con effetti strutturali permanenti) ma ha speso per infrastrutture. In questo modo il debito pubblico non è mai salito, a livello statale, oltre il 25 per cento del Pil.
 
La prossima grande spinta all’economia cinese, più che dall’edilizia popolare e da altre infrastrutture, verrà dal lato dell’offerta. Le State Owned Enterprises, i grandi conglomerati pubblici, sono considerati dalla dirigenza del partito troppo potenti e poco efficienti e la consapevolezza della necessità di privatizzarli è ormai diffusa.
 
Il quadro politico generale
 
L’esperienza subita durante la Rivoluzione Culturale ha lasciato nei dirigenti attuali, e in quelli che stanno per subentrare loro, un’avversione viscerale per ogni forma di populismo. Bo Xilai, antropologicamente simile agli altri dirigenti (un figlio a Oxford, una ricchezza ingente) si è però macchiato proprio del peccato mortale di populismo. Per accelerare la sua carriera ha fatto appello alle nostalgie maoiste della parte più povera della popolazione e ha promosso forme di giustizialismo estranee alla mentalità postdenghista. Si spiega, in questo modo, la reazione rabbiosa degli altri dirigenti del partito e la sua rapida caduta in disgrazia.
 
Nonostante il nervosismo evidente, il controllo politico sul paese da parte del partito resta molto solido. Ci sono comunque alcuni passaggi, tra cui il ripristino di una qualche forma di certezza del diritto, che verranno presto attraversati mentre si delinea sullo sfondo una strategia di riforma politica.
 
Saranno smentiti i teorici della tempesta perfetta
 
Una Cina meno fragile di quanto spesso si pensi toglie un argomento importante ai teorici della tempesta perfetta che amano allineare un’ipotetica recessione fiscale americana, una ricaduta europea sempre dietro l’angolo e un atterraggio duro cinese. Il prossimo periodo si profila ricco di incognite e colpi di scena (il fiscal cliff, la Grecia, la Spagna, le elezioni italiane), ma la volatilità che senz’altro vedremo difficilmente si tradurrà in rotture e bear market importanti.
 
Alessandro Fugnoli
 

I falsi timori occidentali sulla sorprendente Cina

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