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Le fondazioni di origine bancaria sono 88, diverse per dimensione e per operatività territoriale, e perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Sono i cosiddetti Enti conferenti nati dalla legge “Amato” che determinò la separazione dell’attività creditizia da quella filantropica. L’attività creditizia fu scorporata e conferita alle Casse di risparmio spa e alle Banche del monte spa, ormai società profit, commerciali private, disciplinate dal codice civile e dalle norme in materia bancaria analogamente alle altre banche, mentre le attività finalizzate allo sviluppo sociale, culturale, civile ed economico rimasero proprie delle fondazioni.
 
All’inizio le fondazioni furono pensate quasi esclusivamente come depositarie dei patrimoni delle casse da privatizzare, ma sempre più negli anni andò definendosi la loro identità di soggetti che hanno il compito di valorizzare le proprie risorse in un’ottica di sviluppo economico, sociale, culturale e civile, aggiungendo qualità alla vita dei territori in un quadro di servizio e di attivatore innovativo di risorse, che le pone con un ruolo sussidiario fra lo Stato e il mercato. Per cui, come ben recita una sentenza della Corte costituzionale del 2003 (la numero 300), esse sono “persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” poste a pieno titolo “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”.
 
Oggi le fondazioni di origine bancaria assolvono alla loro missione devolvendo gli utili derivanti dalla gestione dei loro patrimoni al sostegno di attività di interesse collettivo, quali l’arte, la cultura, la formazione, la ricerca, il supporto alle categorie sociali deboli, il volontariato, la salvaguardia dell’ambiente e dei beni di interesse storico e paesaggistico. Il loro obiettivo è stimolare e accompagnare la crescita delle loro comunità e del Paese, aprendosi al nuovo e favorendo uno “sviluppo sostenibile”. Uno sviluppo, cioè, che sappia affermarsi in armonia con l’ambiente e con le persone, che favorisca l’aumento delle competenze, che recuperi e valorizzi il patrimonio culturale dei territori, ma anche produttivo, senza prescindere dagli interessi dell’intera collettività nazionale e prendendosi cura dei meno fortunati: giovani in difficoltà, anziani, disabili, immigrati. L’attenzione a questi anzi è oggi di giorno in giorno crescente: per contribuire alla tenuta dei territori favorendo la coesione sociale.
 
L’assemblea dell’Acri del 4 aprile scorso ha approvato all’unanimità la Carta delle fondazioni: una sorta di codice di riferimento volontario, ma vincolante, di cui le fondazioni di origine bancaria hanno deciso di dotarsi per disporre di un documento guida che consenta loro di adottare scelte coerenti a valori condivisi nel campo della governance e accountability, dell’attività istituzionale, della gestione del patrimonio. La trasparenza, la pubblicità, l’autorevolezza degli amministratori, l’adozione di best practice, l’ordinato funzionamento degli organi di governo (la cui specializzazione funzionale è volta ad attivare il circuito interno delle responsabilità), assieme alle forme di vigilanza previste dall’ordinamento, rappresentano attributi imprescindibili nell’ambito dei quali l’autonomia viene esercitata. Nella governance, la Carta stabilisce l’incompatibilità tra cariche politiche e incarichi nelle fondazioni, oltre a misure atte a determinare una discontinuità temporale tra incarico politico svolto e nomina all’interno di uno dei loro organi. Nell’attività istituzionale, afferma l’esigenza di sane politiche di bilancio guidate da criteri di economicità, efficacia ed efficienza, insieme a parametri definiti per l’individuazione e la selezione delle iniziative da finanziare.
 
Infine, nella gestione del patrimonio richiede un’attenta pianificazione strategica degli investimenti, secondo criteri di diversificazione e controllo del rischio, in coerenza con l’obiettivo di generare la redditività necessaria per lo svolgimento delle attività istituzionali, dare continuità all’attività erogativa, fornire uno strumento diretto di sostegno a iniziative correlate alle finalità perseguite. Insomma, con la Carta delle fondazioni intendiamo dare pienezza a quanto già indicato dalla legge Ciampi (n. 461/1998 e decreto applicativo n. 153/99) che ha definito la natura delle nostre fondazioni, i criteri per la gestione dei loro patrimoni, le attività connesse all’erogazione: tre pilastri fondanti della loro identità tuttora validi, per cui non c’è alcuna necessità di iniziative legislative tese a modificarne la disciplina che le norma.
 
Nella difesa della loro autonomia è in gioco molto più che il destino delle sole fondazioni, ma la stessa cultura della sussidiarietà. Le critiche al ruolo svolto dalle fondazioni non colgono proprio questo dato di autonomia e terzietà. Si pensi alla polemica riguardante il presunto privilegio di cui godrebbero in materia di Imu: in quanto soggetti non profit esse sono sottoposte al regime fiscale degli enti non commerciali, non godono di alcun regime loro specificatamente dedicato. Cioè godono dell’esenzione Imu solo per gli edifici che destinano esclusivamente all’esercizio dell’attività filantropica. Al riguardo il totale dell’esenzione per tutte le fondazioni di origine bancaria è di soli 600mila euro, significativamente inferiore all’ammontare dell’Imu che viene invece da esse pagata (oltre 3 milioni nel 2012). Senza contare che, per la tassazione sulle rendite da investimenti finanziari (che sono la stragrande maggioranza degli impieghi del loro patrimonio complessivo) pagano come gli investitori profit. Il passaggio dal 12,50% al 20% inciderà per diverse decine di milioni di euro di imposte aggiuntive annue sui bilanci delle fondazioni, e la modifica del regime dell’imposta di bollo si tradurrà, a partire dal 2013, in una vera e propria “patrimoniale” pari allo 0,15% sulla quasi totalità dell’attivo rappresentata dai valori mobiliari.
 
Le fondazioni di origine bancaria, come tutti, pagano l’imposta sui redditi (Ires), quella sulle attività produttive (Irap), l’Iva, senza alcuna possibilità di recuperarla e le imposte locali, a iniziare dalla Tarsu. È da tener presente che le fondazioni di origine bancaria dalle rendite derivanti dall’investimento dei loro patrimoni traggono le risorse per svolgere l’attività filantropica, che si traduce in donazioni per il sostegno alle organizzazioni del volontariato e ad altri enti non profit. Più tasse per le fondazioni vuol dire, insomma, meno risorse per l’assistenza agli anziani, per i giovani, per le università, per gli ospedali, in uno dei momenti di più intensa crisi dello stato sociale in Italia.

Fondazioni, volano di sviluppo...

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