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Dopo 10 mesi, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono arrivati in Italia il 22 dicembre per trascorrere le feste natalizie in famiglia. La Corte suprema di New Delhi ha rilasciato il permesso e, prima di partire, i due marò hanno giurato davanti d un giudice e un diplomatico dell’ambasciata italiana di rientrare in India prima del 10 gennaio e di presentarsi alla prossima udienza del 15 gennaio. Un’autentica promessa militare.

In più, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha garantito il ritorno di Latorre e Girone. Il capo dello Stato ha assicurato il 20 dicembre che l’Italia manterrà l’impegno e ha invitato l’India a fare lo stesso e a considerare la situazione dei marò alla luce del diritto internazionale. Premesso che ci sono tutte le garanzie, è inevitabile chiedersi cosa potrebbe accadere se Latorre e Girone rimanessero in Italia. Soprattutto dopo che il caso è entrato nello scenario elettorale.

L’offerta (elettorale) di La Russa
“Mettiamo formalmente a disposizione i nostri posti migliori nelle liste per i due marò che rientreranno in Italia”, ha detto Ignazio La Russa nella conferenza stampa del neo-nato partito “Fratelli d’Italia Centrodestra nazionale” a Roma lo scorso 21 dicembre. L’appello per evitare il ritorno in cella è sul sito personale dell’onorevole e le manifestazioni pubbliche dell’iniziativa “Salviamo i nostri marò” – quasi tutte a Roma, in compagnia del sindaco Gianni Alemanno – sono aumentate con l’avvicinarsi delle elezioni. Fino ad oggi, Latorre e Girone non hanno rilasciato nessuna dichiarazione sull’offerta di La Russa.

L’editoriale di Report
Nell’ultimo editoriale di Report, Milena Gabanelli ha richiamato il diritto internazionale della magistratura italiana per risolvere la vicenda dei marò: “Per una volta dimostriamo di essere un Paese dove a vincere è il diritto. Come Paese potremmo assumerci la responsabilità di questa azione garantendo però all’India di fare le cose seriamente e quindi di processarli qui, e se ritenuti colpevoli e condannati, incarcerati qui, perché là c’è la pena capitale”. Una soluzione che, secondo Gabanelli, “dovrebbe essere applicata subito, senza aspettare che finiscano in pasto alla politica che li strumentalizza, li candida, li fa diventare eroi, rischiando così ancora una volta di dimostrare al mondo intero di essere un paese pasticcione e poco credibile”.

La responsabilità internazionale
In una conversazione con Formiche.net, l’avvocato Alessandro Pizzuti, perfezionando della Scuola Superiore Sant’Anna e collaboratore dello studio Cinquepalmi di Milano, ha spiegato che in linea teorica le dichiarazioni giurate fornite dall’ambasciatore d’Italia in India e dal console generale di Mumbai “possono integrare gli estremi di una vera e propria obbligazione internazionale in capo all’Italia”.

Secondo l’avvocato – che si occupa di diritti umani e diritto penale a livello nazionale ed internazionale –  se Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non rientrassero in India alla scadenza del termine fissato, l’Italia incorrerebbe in una responsabilità internazionale. In questo caso, l’India avrebbe la possibilità di portarci avanti le opportune giurisdizioni internazionali (tra le quali la Corte internazionale di giustizia o la Corte permanente di arbitrato internazionale) richiedendo l’adempimento dell’obbligo assunto, e il trasferimento dei marò, oppure un’altra forma di compensazione.

Le giustificazioni
Secondo Pizzuti, l’Italia potrebbe evitare ogni responsabilità se il mancato rientro di Latorre e Girone fosse giustificato dalle cosiddette “cause di forza maggiore” come, ad esempio, motivi di salute che impediscano il viaggio di ritorno. Impedimenti che fossero dovuti al diritto italiano, invece, non sarebbero sufficienti ad escludere la responsabilità italiana.

Per l’avvocato, secondo il diritto internazionale, “il diritto interno non può essere invocato per giustificare il mancato adempimento di un obbligo internazionale. Sul punto, però, è interessante notare che la dichiarazione del ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi, specifica che il governo si impegna a predisporre ogni mezzo, nell’ambito dei poteri costituzionali di cui dispone il governo, affinché i marò tornino in India alla fine delle due settimane di eventuale licenza”. Al di là della sua validità, l’inciso potrebbe essere anche interpretato per legittimare un’eventuale azione della magistratura alla luce del procedimento penale aperto dalla procura di Roma che vede i due marò indagati.

Ritorsioni commerciali
L’India può anche ricorrere legittimamente a misure di ritorsione, come la rottura dei rapporti diplomatici o l’attenuazione o interruzione della collaborazione economica e commerciale, secondo Pizzuti.

È importante sottolineare che non si conosce a fondo l’intera vicenda giudiziaria e neanche la decisione dell’Alta corte del Kerala che ha disposto il rilascio provvisorio dei due militari italiani e le garanzie fornite dalle autorità italiane. Senza questi elementi, poco si può prevedere. Non resta aspettare che trascorrano le due settimane e il ritorno dei marò in India, dove dovranno affrontare il processo con l’accusa di omicidio e il rischio di essere condannati anche alla pena di morte.

E se i marò non tornassero in India?

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