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Mancano poche ore per le elezioni americane. I due candidati alle presidenziali si sono giocati quasi tutte le carte ma questo ultimo respiro verso l’appuntamento di martedì sarà decisivo. E anche utile per capire le opzioni sulle quali dovranno scegliere gli americani e che senza dubbi influiranno il resto del mondo.
 
Secondo il corrispondente della Stampa, Maurizio Molinari, le diverse strategie del “Final Fight” di Mitt Romney e Barack Obama dimostrano le visioni e gli obbiettivi diversi che hanno i due candidati. In un articolo pubblicato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) nel dossier “Un’America divisa al voto”, Molinari spiega che le mosse dell’ultima ora sono anche il riflesso delle diverse coalizioni alle quali puntano. Leggere i sondaggi in queste ultime ore è praticamente inutile: per Euronews i due candidati sono arrivati a un punto morto in termini statistici. Non resta che aspettare il giorno del voto.
 
Per Mark Mardell, editor per l’America del Nord della Bbc, i due uomini hanno due visioni, due miraggi di un futuro diverso per l’America e queste prospettive sono scintillanti e confuse. Il vero problema è che ora ci sono davvero due Americhe esistenti e il divario tra loro è sempre più ampio”.
 
La formula di Obama
 
Molinari sostiene che la strategia di Obama è quella dettata dal suo guru David Axelrod e cerca semplicemente di sommare voti rispetto al suo avversario politico. Per questo, da due giorni nelle mail che Obama manda ai suoi contributor non chiede più soldi ma di “chiamare ad amici e conoscenti per convincerli a votare per l’opzione democratica”. Grazie a tutta la tecnologia che il candidato democratico ha messo su con l’uso dei dati personali per raggiungere elettronicamente ogni singolo potenziale elettore. Ma non sarà un’impresa facile con il risultato della sua gestione alla presidenza: un alto tasso di disoccupazione, aumento della povertà e la colossale sconfitta del primo dibattito a Denver. È questa somma di errori e punti deboli che spinge Obama verso la “strategia minima”: ovvero, provare a convincere non la maggioranza del voto popolare ma la maggioranza dei voti del Collegio Elettorale, assegnati dagli Stati. Forse per invocare la fortuna di George W. Bush che così vinse nel 2000 contro Al Gore.
 
Adesso il “Team Obama” ha un’unica missione: arrivare a 270 dei grandi elettori, che è la soglia della vittoria. Un’analisi della Bbc su questa retta finale delle elezioni negli Stati Uniti spiega che saranno gli indecisi a stabilire il risultato finale. Sono dieci gli stati che mettono a rischio la sua rielezione: Colorado, Florida, Iowa, Michigan, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Ohio, Virginia e Wisconsin.
 
La ricetta di Romney
 
Il candidato repubblicano, invece, si difende attaccando. Secondo Molinari, Romney punta a trasformare l’Election day in un referendum nazionale su Obama. I messaggi di quello che va fatto per migliorare la vita degli americani sono gli stessi ma la strategia è quella di presentare Obama come il presidente che ha mancato le promesse fatta nel 2008. Non ci è riuscito a rilanciare l’economia, ha aumentato la disoccupazione e la povertà. Perché dovrebbe riuscire adesso a combatterle? Stuart Stevens, il guru di Romney, ha deciso di differenziare i contenuti fra Stato e Stato, provando a investire in una campagna tradizionale basata su spot in tv per queste settimane finali. Secondo loro, lo scontento per la recessione economica basta per colpire chi fino a martedì occuperà la sedie della presidenza americana.

Le ultime strategie dei guru di Barack e Mitt

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