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Regionale, da Roma verso Napoli. Il litorale pontino scivola lungo il finestrino, seguito da quello domizio. È questo tipo di panorami a spiegare perché insistiamo a parlare di “integrità”.
Un paese corrotto si disintegra, un metro dopo l’altro. Mai come sui litorali italiani è possibile rendersene conto, sui chilometri di costa corrosi dal cemento abusivo. Terreni demaniali su cui privati hanno costruito le proprie fortune, assieme a stabili di ogni tipo.
 
L’integrità è un bene comune, pubblico se vogliamo dirla in termini economici: nessuno avrebbe interesse a sostenerne il costo individualmente, ma tutti ne traggono beneficio.
L’integrità delle istituzioni è strettamente correlata a quella del suolo, della vita. Si parla dello studentato dell’Aquila, di San Giuliano di Puglia. Del “fiume di fango” che sommerge Sarno, di quell’Italia che sa prevenire “neanche le metafore” (Ellekappa). Dei vent’anni passati dall’approvazione della 257/1992 , che imporrebbe alle regioni di predisporre piani di rimozione dell’amianto.
 
In un paese corrotto, è la realtà a far impallidire le peggiori delle ansie. Ricerche recenti mostrano come, a parità di magnitudo, un terremoto causi molti più danni – e vittime – in un paese con un indice di corruzione più alto (per chi si stesse appassionando alle misure, è il famoso Corruption Perception Index di Transparency International ).
Il territorio è un bene comune: nessuno metterebbe mai di tasca propria i soldi per metterlo al sicuro dal dissesto idrogeologico, ma quando la Domus Aurea frana, travolta da incuria e incompetenza , ogni cittadino, ogni turista, ogni commerciante perde qualcosa di inestimabile, non solo culturalmente.
 
Il territorio italiano è uno dei più densamente popolati al mondo. Alcune delle città più antiche del pianeta, abitate continuamente per millenni, sono immerse in un ambiente naturale vario e fragile, su cui la mano dell’uomo ha innestato un incredibile numero di colture. Questa intensa varietà può costituire la ragione sociale di decine di piccole aziende locali, anch’esse bene comune a difesa dalle rendite di monopolio e da comportamenti collusivi, garanzia di legame tra lavoro e territorio.
 
È dunque perverso dibattere degli enti locali con un “provincialismo di maniera” , che imponendo una visione “europea” della questione non sa o non vuole tenere conto dei compiti gravosi che queste istituzioni sono chiamate a sostenere nel contesto italiano. Numerosi e controversi sono gli studi sull’effetto delle autonomie locali su corruzione e performance economiche : sicuramente, anche chi ritiene che il decentramento favorisca l’integrità specifica che questo avviene solo quando ad esso si accompagna maggiore trasparenza e delega effettiva, piuttosto che mera moltiplicazione di cariche.
 
E se, anziché abolirle, trasformassimo le province nell’organo garante dell’integrità – morale, idrogeologica, sociale – del territorio? Un ente destinato a vigilare sul demanio e sulle aree naturali e protette; a valorizzare i beni artistici; a organizzare la racconta dei rifiuti, sempre più problema strategico e al di sopra dei comuni; a pianificare il passaggio ad una “mobilità leggera” . Per una volta, sarebbero soldi ben spesi.
 
 
Giacomo Gabbuti
Studente del Master of Science in Economics all´Università di Roma Tor Vergata, dopo la triennale in Economia Europea nella stessa università ed un Erasmus ad Istanbul. Ha collaborato con il progetto “Cultura dell´Integrità nella Pubblica Amministrazione” della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

Una proposta sulle province

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