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“Obama, forse il più disastroso presidente degli Stati Uniti nel dopoguerra, sia sul piano della politica estera, sia su quello dell’economia interna”. Sono parole di Carlo Pelanda, docente di Scenari globali all’University of Georgia di Athens, pubblicate sul numero di Formiche agosto-settembre del 2012. Nell’articolo “Perché la finanza tifa per Romney” l’esperto di politica americana spiegava le mancanze della proposta di Obama e il perché sarebbe stato positivo per la locomotiva dell’economia mondiale una vittoria del candidato repubblicano.
 
Secondo Pelanda, l’America aveva bisogno di eventi destabilizzanti in Asia e in Europa per costringere il capitale globale a fidarsi nei mercati americani e rifugiarsi di nuovo nel dollaro. Una strategia possibile ed efficace con Romney ma rischiosa con Obama. Con una rielezione del presidente “questi eventi destabilizzanti diventerebbero incontrollabili”, aveva scritto il professore.
 
Ma non sarà una catastrofe
 
E adesso che ha vinto Obama, cosa succederà all’economia americana e di conseguenza a quella mondiale? Come potrebbe il presidente rieletto fare tornare la fiducia nei mercati? In conversazione telefonica con Formiche.net, Pelanda confessa che il futuro non è così disastroso come sembrava questa estate. Per l’analista Obama non potrà, comunque, fare quello che vuole perché la Camera è in mano ai repubblicani e tutto deve essere valutato anche da loro. Così come Romney avrebbe dovuto tenere conto della resistenza democratica al Senato se avesse vinto la presidenza. Più che il trionfo di Obama o la sconfitta di Romney il problema reale dell’America è la divisione del Paese; fratture che fanno diventare la gestione governativa un’impresa ancora più complessa e difficile.
 
“Obama – spiega Pelanda – dovrà concentrarsi su due sfide interne per risollevare l’economia: rafforzare il dollaro e ridurre il debito. Non succederà una catastrofe, spero. Ma credo che questo lavoro si sarebbe avviato in modo molto più accelerato, molto più alla americana, con Romney alla presidenza. La scelta di Obama rallenterà la ripresa degli Stati Uniti e di conseguenza l’eurozona e l’economia mondiale”.
 
Al presidente rieletto aspetta un arduo lavoro per calibrare il settore fiscale con la riduzione del fisco e per questo dovrà scendere a compromessi con i repubblicani. Secondo i pronostici di Pelanda le ripercussioni della crisi si sentiranno durante il 2013 ma c’è da stare tranquilli: gli Stati Uniti non andranno in recessione.
 
Cosa ha sbagliato Romney
 
La scelta strategica repubblicana sembrava, all’inizio della campagna, vincente. Il messaggio che si è voluto trasmettere rappresentava la battaglia elettorale “American vs. no american”. La formula ha permesso a Romney di avere una prestazione decente ma non popolare. Il rischio che si è avverato è stata l’impossibilità di conquistare quelle nuove anime americane che sono state decisive nel voto. In più, negli ultimi mesi i dati economici si sono ripresi, anche sulla vita quotidiana americana, e questo ha annullato la motivazione del cambio, l’accusa che Obama non ha lasciato crescere l’America.
 
Quella del presidente rieletto, invece, è stata una strategia vincente sul piano morale. In quattro anni è riuscito a conquistare gruppi etnici che adesso fanno parte del nuovo modello americano.
 
Una nuova (necessaria) politica estera
 
Dove è certo che ci sarà un cambiamento è sul piano della politica estera. Obama non può mantenere la linea che ha portato fino adesso. La idea di pacificazione con il mondo islamico è fallita e anche i democratici lo sanno. Per Pelanda in questo ambito sarà tanto decisiva quanto difficile la sostituzione di Hillary Clinton. Ma potrà rilassarsi sui punti di confronto: sui rapporti internazionali le proposte di Obama e Romney erano ugualmente scarse.

Meglio Romney, ma Obama non sarà una catastrofe

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