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L’abdicazione di Silvio Berlusconi sembra per paradosso far tornare le lancette indietro a quando Berlusconi era re. Almeno sui giornali italiani dove pagine su pagine raccontano con parole e immagini la parabola berlusconiana, dal famoso 26 gennaio 1994 al 24 ottobre 2012, andata e ritorno nell’”Italia Paese che amo”. Come sempre, le letture sono molto diverse.
 
Gli entusiasti
C’è chi si complimenta con il Cav. per la sua scelta che corrisponderà necessariamente a una nuova pagina della politica italiana. Giuliano Ferrara sul Foglio, il primo ieri a dare la notizia, sceglie la prima persona per complimentarsi con il “suo Cav.”: “Bravo Cav., una grande uscita di scena”. A lui, secondo l’Elefantino, va il merito di aver preso atto di una nuova epoca, che è figlia sua e dei suoi diciotto anni di politica, della fine dell’èra carismatica e personale e di una fase che dovrà basarsi sulla continuità con il Monti riformatore e pro mercato. Anche il direttore del Tempo Mario Sechi parla dell’uscita di scena dell’ex presidente del Consiglio come di una mossa giusta: “Quello di Berlusconi è un passo avanti perché ora sarà possibile tracciare un nuovo inizio per il centrodestra e la politica italiana. Tutti quelli che avevano l’alibi del Cavaliere nero devono giocare in bianco”.
 
I dubbiosi
Nell’editoriale di prima pagina del Corriere della Sera firmato da Pierluigi Battista e titolato eloquentemente “Purché siano primarie vere” prevalgono i se:
“Se le primarie del centrodestra coinvolgessero davvero (non la solita visita guidata ai gazebo) una base larga, non solo di militanti, ma di gente comune che si mette in fila per scegliere un leader in competizione libera e leale tra candidati, forse si imboccherebbe non la strada per la vittoria elettorale, ipotesi molto remota, ma quella per la rigenerazione di una parte dell’Italia politica, molto consistente, che ancora non vuole essere condannata al destino dell’irrilevanza. Se la scelta coraggiosa di Berlusconi vorrà avere conseguenze positive per il suo partito non dovrà apparire come una trovata furba, o l’ennesimo annuncio frustrante. Si apre per il centrodestra una stagione nuova: il congresso reale che non si è mai fatto, da celebrarsi il 16 dicembre”.
 
Marcello Sorgi sulla Stampa offre una lettura originale in cui il Cav non è artefice ma vittima del passo indietro di ieri: “Il vecchio Silvio non è caduto da padre-padrone, come si era abituati a conoscerlo. Ma, più o meno, come uno dei tanti leader che prima o poi si ritrovano in minoranza, e a cui il vertice del partito fa sentire i rintocchi della fine”.
Ma sul fatto che la sua uscita di scena risolva tutti i problemi del Pdl e non solo, l’editorialista esprime dei dubbi: “L’ipotesi che, uscito il Cavaliere, tutti i pezzi sparsi si ricompongano miracolosamente, varrà – se varrà – per il Pdl, che con le primarie potrà designare, finalmente in modo democratico, il successore del Cavaliere. Se invece, come sembra, e come ha riproposto recentemente il presidente del Senato Schifani, l’obiettivo è di ricomporre la coalizione, da Casini a Storace, che ha sempre vinto le elezioni quando s’è presentata unita, il cammino sicuramente sarà più lungo”. E quindi “l’uscita di Berlusconi fa chiarezza, ma non basta”.
 
Dubbi anche sulla figura di padre nobile del partito che dovrebbe ora assumere Berlusconi. Massimo Gramellini, raccontando “l’ultima (?) puntata della Silvionovela”, ironizza: “E’ proprio per impedire ancora una volta che l’Italia liberale cada nelle mani dei comunisti che Silvio B ha deciso di fare un passo indietro e assistere da bordo campo alle primarie che incoroneranno il suo successore. ‘Quel che spetta a me è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività’. E qui, visto che viviamo ancora in un Paese liberale, chiunque lo conosce è libero di mettersi a ridere”.
 
Gli scettici
I giornali a sinistra sono tendenzialmente scettici. Per Piero Ignazi su Repubblica, nell’editoriale La disfatta di una politica, cambierà poco o nulla:
“Il Cavaliere non scomparirà dalla scena, né si ritirerà alle Bermuda. Rimarrà a vigilare, dall’alto del suo patrimonio e del suo impero mediatico. Semplicemente, non si candida più in prima persona perché andrebbe incontro ad una sconfitta certa. E a lui non piace perdere”.
 
Anche per Il Fatto Quotidiano, Berlusconi se ne va ma non troppo perché non si candiderà premier ma resterà in Parlamento. Altro che “lo faccio per amore dell’Italia”, Non poteva fare altrimenti, secondo il quotidiano. Nell’Editoriale del direttore Antonio Padellaro, passando in rassegna i guai del Pdl, si arriva alla conclusione che “ridotto com’è non gli restava altro che scappare velocemente dalle macerie del Pdl raccontandoci l’ultima barzelletta del passo indietro ‘per amore dell’Italia’.
E prefigura le primarie come “un regolamento di conti tra clan e fazioni accelerando la dissoluzione di un partito personale inventato sul Predellino di un’auto e cementato dall’odio”.
 
I perplessi
La linea del Giornale è a sorpresa quella della perplessità: “Noi e non parlo solo a titolo personale siamo perplessi. Quando si chiude un’epoca e se ne apre un’altra, si sa dove si inizia e non si sa dove si finisce. In questa congiuntura, pur capendo la voglia di Berlusconi, non comprendiamo chi abbia i titoli per degnamente sostituirlo”, scrive Vittorio Feltri nel suo editoriale di prima pagina dove segnala anche una curiosa coincidenza e cioè la contemporaneità della mossa del Cav e quella di Luca Cordero di Montezemolo che si dimette dalla presidente di Ntv: “Non abbiamo certezze in merito – scrive Feltri – tuttavia da alcuni giorni circolava la voce che il numero uno della Ferrari sarebbe stato avvicinato dal Cavaliere, il quale gli avrebbe offerto di entrare in politica”. Il pallino nella testa dei futuri contendenti alle primarie, Alfano in primis, è stato messo.

L’addio di Berlusconi visto dai giornali

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