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Nella più recente fase travagliata e incerta attraversata da buona parte del mondo arabo, il Qatar, quasi inaspettatamente, ma certo non a caso, ha confermato un notevole dinamismo sostenuto dalle sue forze più liberali, sotto la guida dell’emiro, shaykh Hamed bin Khalifah Al Thani. L’avvio di un’evoluzione politica costituzionale ha confermato una decisa volontà di apertura; la creazione della ben nota stazione satellitare Al Jazeera a Doha, con ampio supporto finanziario dell’Emiro stesso, è divenuta la prima significativa conferma della nuova direzione.
 
Il crescente interesse della regione del Gulf cooperation council (Gcc), di cui il Paese fa parte, verso investimenti nell’area del Mediterraneo e in Nordafrica rappresenta una novità di questi ultimi anni. Una certa volontà politica regionale di controbilanciare la già spiccata proiezione economica del Gcc verso l’Asia – Cina ed India in primis – ha finito con il creare una fitta rete di rapporti e convergenze, che hanno contribuito a proiettare il Qatar stesso verso “una nuova dimensione mediterranea”. Se si pensa, ad esempio, agli investimenti del 2010 in Nordafrica, la Gulf Qatar Telecom (Qtel) e la Qatar investment authority spiccavano rispettivamente in Tunisia e in Libia.
 
La posta in gioco oggi è la ridefinizione degli equilibri di potere tra Medio Oriente e Mediterraneo: il Qatar, sia pure con tutti i suoi limiti, intende porsi come protagonista.
Shaykh Hamed bin Khalifah, dopo la partecipazione all’incontro del gruppo di contatto per la Libia, nella conferenza stampa tenuta a Parigi ad inizio settembre 2011, ha tanto insistito sull’importanza del buon governo, del rispetto dei diritti e della libertà del popolo libico. Un positivo modello di cooperazione arabo-internazionale è evocato con riferimento proprio alla “protezione” accordata ai libici e alla responsabilità che gli arabi del Golfo si sono assunti in Libia, aprendo le porte alla creazione di una rinnovata cooperazione con l’occidente, ispirata alla sostenibilità delle soluzioni proposte e adottate. Il Qatar riafferma così la centralità delle riforme, ma pur sempre sulla base dell’autoreferenzialità e dell’autonomia.
 
L’enfasi posta dall’emiro sul concetto arabo di ijma‘ (consenso) si ricollega all’auspicio di un’evoluzione costituzionale libica, che sia in grado di evitare i tanti danni avutisi laddove è prevalso il tentativo di imporre modelli esterni di democrazia. Si tratta di una posizione chiara e coerente: essa non manca di ricordare che il Qatar stesso, nel suo sviluppo politico, si trova ad affrontare la problematica questione di una reale integrazione del processo elettorale, iniziato nel 1999, in un sistema in cui la “nazionalità tribale” non continui a contare più della cittadinanza. Il percorso appare lungo e carico di sfide; esso è solo in parte legato alla volontà della leadership e, di fatto, non può prescindere da una crescita culturale e sociale complessiva del Paese, per la quale le parole d’ordine sono formazione e preparazione delle risorse umane locali, obiettivi oggi prioritari, che rinviano alle recenti importanti iniziative nel settore, quali la creazione dell’Education city a Doha…verso una knowledge-society.

Con lo sguardo rivolto al Mare nostrum

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