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Temo che le cosiddette liberalizzazioni siano destinate a diventare il simbolo più emblematico del fallimento della Seconda repubblica. Non c’è legge che, soprattutto quando emanata d’urgenza, non le indichi a giustificazione dell’una o dell’altra misura. Eppure, nel comune sentire, poco o nulla sembra essere cambiato. L’Italia continua ad apparire un Paese stretto da lacci e lacciuoli. Con l’ultima manovra, il governo ha ottenuto una delega per la liberalizzazione delle professioni. È contemplata tra le “misure per favorire lo sviluppo”, secondo il sin troppo frainteso mainstream liberista. Se è vero che, abolendo l’esame per la patente, aumenta il numero di coloro che, potendosi mettere al volante, comprano automobili e utilizzano benzina, gomme, ecc. ecc. al contempo crescono esponenzialmente i rischi per l’incolumità personale e i conseguenti costi sociali. Non è difficile immaginare quello che potrebbe accadere liberalizzando le attività di medici, ingegneri, avvocati. Ora, tornando alla delega, la manovra prevede interventi su: l’accesso; la formazione; il tirocinio; i compensi; l’assicurazione; i collegi disciplinari e la pubblicità informativa. Mi sembra che ben poco di tutto ciò risulti effettivamente utile a favorire lo sviluppo. Non voglio essere frainteso. La delega è un passo avanti perché consente di mettere mano a questioni da sempre molto dibattute; si tratta, però, di questioni la cui risoluzione difficilmente trasformerà le professioni in un volano per la crescita del sistema-Italia. L’accesso, la formazione, il tirocinio, i compensi, l’assicurazione, la disciplina e la stessa pubblicità informativa, se visti nei loro effetti concreti, attengono al rapporto professionista-cliente ovvero alle dinamiche interne alla vita professionale.
 
Ciò che, invece, servirebbe è un pacchetto di misure strategiche che consentano alle professioni di “fare sistema”. Secondo gli ultimi dati a disposizione (2008), gli iscritti agli albi ammontano a più di 2 milioni e il loro peso oscillerebbe tra il 4,9 e il 15,1% del Pil, con un indotto valutabile in quasi 2,15 milioni di occupati, suddivisi tra circa un milione di dipendenti degli studi professionali (308mila professionisti e 690mila non professionisti) e 1,5 milioni nell’indotto allargato: servizi, macchinari e attrezzature ad uso degli studi (fonte: Cresme 2010). Numeri di tutto rispetto. Eppure, latitano le infrastrutture finanziarie ed economico-assicurative specializzate nell’assistenza dei professionisti e delle loro organizzazioni che, giustamente chiamati a competere sul mercato, non possono contare su incentivi, finanziamenti e, più in generale, su quella rete di istituzione e intermediari che opera a sostegno delle imprese.
 
Così, mancano quasi del tutto le infrastrutture informative che promuovano l’incontro domanda-offerta, non solo nei confronti delle imprese e dei consumatori, ma tra gli stessi professionisti creando e favorendo quelle occasioni di partnership necessarie a dare impulso alla creazione di organizzazioni professionali medio-grandi, le uniche in grado di accedere ai mercati internazionali. Se si confronta lo scenario italiano con quello dei Paesi più avanzati, appare chiaro come sia difficile ragionare in termini di sviluppo quando ancora manca quella rete universale di sicurezza − costituita da un sistema di formazione specialistica, di orientamento professionale, di assistenza nella mobilità geografica, di ricerca dei nuovi sbocchi occupazionali, di sostegno per lo start up e l’ingresso in nuovi mercati − che consenta di superare l’approccio familistico che ancora, troppo spesso, connota il settore professionale. La situazione migliora, ma solo leggermente, per quanto riguarda le infrastrutture formative, ma si contano ancora sulle dita di una mano le iniziative che, con la rete delle istituzioni universitarie e dei centri di eccellenza, promuovano iniziative mirate alla formazione specialistica dei giovani professionisti e per la riqualificazione della seconda età, seguendo il modello delle scuole di management e tecniche.

Liberalizzazioni, step two?

Temo che le cosiddette liberalizzazioni siano destinate a diventare il simbolo più emblematico del fallimento della Seconda repubblica. Non c’è legge che, soprattutto quando emanata d’urgenza, non le indichi a giustificazione dell’una o dell’altra misura. Eppure, nel comune sentire, poco o nulla sembra essere cambiato. L’Italia continua ad apparire un Paese stretto da lacci e lacciuoli. Con l’ultima manovra, il…

Radicali liberi (e forti)

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Musica di stagione

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vasco

Vasco social rocker

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Inchiostri di ottobre 2011

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L'industria che fa bene all'ambiente

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