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C’è chi sostiene che le nevicate degli ultimi giorni su Tripoli siano un buon presagio. Porteranno via tutti gli orrori di questi quarant’anni di dettatura. Ma, un anno dopo la rivolta, l’euforia ha lasciato spazio alla delusione e alla sfiducia. Il popolo libico non si fida molto delle nuove autorità per la gestione poco efficace e la mancanza di trasparenza.
 
Il governo organizza le elezioni legislative per il mese di giugno, mentre l’esercito riempie il vuoto di sicurezza. Nella Libia d’oggi sembra che tutto sia ancora da fare.
 
In Libia si festeggia la rivolta del 17 febbraio del 2011. “Siamo felici senza Gheddafi ma abbiamo bisogno di certezze”, spiega Karim, commessa in una gioielleria a Tripoli ad un giornalista della Reuters. In Libia non c’è polizia e nessuno conosce i membri del Consiglio Nazionale di Transizione, quella specie di parlamento autonominato che ha condotto la ribellione. Neanche nessuno dei ministri nominati a novembre. L’unica faccia riconoscibile è quella di Mustafa Abdelyalil, presidente del Consiglio.
 
In materia economica, soltanto le petrolifere hanno riattivato le attività dalle rivolte. Sarà per metà del 2012 che la Libia ritornerà alla produzione di prima della guerra: 1,6 milioni di barili al giorno. Anche se non c’è stata la firma di nessun accordo con nessuna multinazionale straniera.
 
La corsa è verso l’appuntamento elettorale di giugno: sarà scelta la nuova Assemblea nazionale che scriverà la Costituzione e formerà il nuovo governo. Una vera sfida di organizzazione, pedagogia e maturità democratica, come segnala il Tripoli Post, in un paese che non ha elezioni ne partiti dal 1951. Ma non c’è possibilità di rimandare, la Libia ha bisogno di certezze e speranze.

Libia, l'impegno per la ricostruzione della speranza

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