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C’era una volta la piazza, ricolma di gente portata lì da pullman in partenza in ora antelucana o addirittura la notte prima, coi cori, i viveri da casa- panino con la frittatona stile Fantozzi- e bella ciao che tenevano svegli e facevano identità. C’erano una volta i partiti, che erano essi stessi identità collettiva, con i loro bei congressi e le loro scuole di formazione dei dirigenti, con i loro programmi e i dibattiti infiniti nelle sezioni.

C’erano una volta i leader, capitati alla testa dei partiti non per necessità proprietaria (o considerando la comunità politica una pertinenza personale) ma per consenso della “base”, per condivisione espressa attraverso processi democratici, per un valore speciale dimostrato in un tempo ragionevole di militanza e rappresentanza. Ecco, quando “c’era una volta” le piazze erano una forma espressiva della politica, soprattutto quella dell’opposizione, quella fatta di persone, non quella virtualizzata da qualche social alla moda, fatta di like, “tanto che mi costa”. Erano piazze che smuovevano governi, che mettevano in crisi leggi appena approvate, che consolidavano leadership in sospetto di letargia o in desuetudine di frequentazioni con il popolo degli adepti.

Elly Schlein dopo cinque anni di lontananza del Pd dalle manifestazioni plebiscitarie, torna nella piazza romana dei grandi raduni per riannodare, dice la leader, il filo che lega il partito alla sua base, con l’obiettivo politico di allargare il campo della sinistra ai sodali più prossimi, il M5S e l’area di Fratoianni e Bonelli. Il campo largo viene ovviamente arato con la condivisione dell’antagonismo al governo della destra, e alle sue scelte inaccettate, il tutto raccolto in un bouquet di dinieghi e di rivendicazioni: “no” al premierato meloniano e all’autonomia differenziata, “si” al diritto allo studio, alla casa e al salario minimo, no all’accordo-proclama con Edi Rama per la gestione degli hot-spot italiani in suolo albanese. Eccetera.

C’è nel gesto del comizio l’eterno ritorno al lavacro della piazza come rito rivitalizzante, una sorta di battesimo per un nuovo inizio che è nella liturgia della sinistra, ma che rischia di rappresentare un tributo romantico quanto effimero ad un passato ormai remoto. I giornali della destra e i siti filogovernativi parleranno di poca spontaneità e parecchia organizzazione con l’arrivo a Roma di 175 pullman da tutta Italia, che comunque farebbero solo 9000 presenze o giù di lì, ma bisognerà riconoscere che 50.000 persone sono state portate oggi in piazza del Popolo.

Tuttavia, e questo è il punto, quand’anche riuscisse il ricompattamento di tutta la sinistra sotto le bandiere arcobaleno- cosa non affatto scontata, visto che nel conto c’è anche il M5S di Conte, di dubbia collocazione e totalmente insofferente alle alleanze- resterebbe da capire come la segretaria del Pd possa immaginare di farsi alternativa a questo governo senza poter contare su una forza di centro. Infatti la media dei sondaggi elettorali all’altezza del 10 novembre dà alla destra-solo contando i partiti con una rappresentanza parlamentare- il 46,2%, e alla sinistra chiamata alla manifestazione dalla Schlein solo il 38,9. Azione, +Europa e Italia Viva, l’area “di mezzo” della scena politica, è valutata intorno al 9%.

Ebbene quest’ultima area non è che venga particolarmente incoraggiata da piazze compattamente raccolte sotto le bandiere della sinistra/sinistra: dovrebbe ricordarlo il Pd che è andato al governo col voto popolare solo quando il candidato della coalizione era un democristiano come Romano Prodi. Mentre la piazza della Segretaria del Pd contestava al governo Meloni le scelte e le omissioni, il governo Meloni rispondeva con il solipsismo della Presidente via social, quello che ha sostituito le conferenze stampa. L’una parlava ad un popolo presunto, l’altra parlava ad una giovane generazione presunta. Come in un vecchio film di Antonioni.

Phisikk du role - Il Pd e le piazze di una volta

C’è nel gesto del comizio l’eterno ritorno al lavacro della piazza come rito rivitalizzante, una sorta di battesimo per un nuovo inizio che è nella liturgia della sinistra, ma che rischia di rappresentare un tributo romantico quanto effimero ad un passato ormai remoto. La rubrica di Pino Pisicchio

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