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Ogni volta che immagino il Buddha in quello che raccontano essere stato il suo ultimo gesto in vita penso a Luigi Pirandello. Il principe Gautama Siddharta, nato a Benares e diventato famoso nel mondo con il nome di Buddha, ossia “illuminato”, poco prima di morire di fronte ai suoi discepoli sorrise ed in silenzio sollevò un fiore di loto. Pirandello si esprime in uno dei suoi drammi teatrali più toccanti proprio attraverso un uomo che, prossimo a morire, regge tra le labbra un fiore bianco. L´uomo dal fiore in bocca diventa nel nostro universo culturale occidentale colui che ad un passo dalla morte impara – finalmente – a godere solo del momento. Buddha in sostanza diceva la stessa cosa nel V secolo a.C., ridendo di fronte ad una grande illusione, quella della “fine”. E´ in quest´ottica che dovremmo leggere i tragici fatti tibetani, per comprendere fino in fondo quanto quel piccolo pezzo del mondo sia lo specchio fedele di una cultura globale, che appartiene a tutti noi. Per questo, le parole durissime del Dalai Lama cadono come pietre: “I cinesi stanno commettendo un genocidio culturale”. Ma non è un genocidio ristretto a quella sparuta minoranza di pacifici tibetani, è un genocidio culturale globale, perché – appunto – quella cultura ci appartiene, è anche nostra. La cultura dei tibetani è la cultura della libertà e del confronto pacifico, del dialogo e della non violenza. Nel loro “non agire” si cristallizza un principio taoista (e quindi, paradossalmente, proprio cinese). Il wei wu wei (azione non azione) non significa mesta rassegnazione, ma semmai “consapevolezza” dell´inutilità della reazione e di quanto, invece, il non agire sia di per se stesso un atto di combattimento. Quei monaci uccisi per le strade di Lhasa e quei cittadini brutalmente feriti e imprigionati dall´esercito cinese, non sono uomini e donne lontani da noi, ma appartengono alla nostra stessa cultura e hanno le nostre stesse radici. Hanno radici comuni con i cinesi, con gli indiani, ma anche con americani, giapponesi, russi e tedeschi. Dobbiamo partire da qui per poter dialogare con la Cina e dialogare per davvero, mettendoci su un terreno comune di valori. Per questo boicottare i Giochi Olimpici non servirebbe a nulla, e lo sostiene anche il Dalai Lama. Il dialogo è sempre e comunque la strada migliore, ma un dialogo fermo, deciso, anche duro. Ecco, è questo che chi ci governa non comprende. Di fronte agli isterismi di massa, agli assalti alle ambasciate, ai carri armati per le strade, serve una condanna ferma e decisa della comunità internazionale e il dialogo, sempre, anche con quei cinesi che fanno tanta paura. Il principe Siddharta compì una vera e propria rivoluzione per la sua epoca; il suo messaggio – anche se non accompagnato da stragi e da spade – ha cambiato profondamente la storia del mondo. In pochi sanno che Buddha fu quel “rivoluzionario” che scalzò i Brahmini dal loro potere, sostenendo, attraverso la sua filosofia democratica e priva di dio, che era ingiusto il sistema castale vigente in India, il suo paese di nascita, e contribuendo, così, a diffondere in Asia e poi in tutto il mondo una nuova idea: quella che tutti gli uomini nascono uguali nella loro piena e pari opportunità di raggiungere l´illuminazione e, quindi, che anche un parhia può diventare Buddha. Ci ha insegnato le sfumature del Dharma, ossia della legge cosmica o del “modo in cui le cose sono”, per dirla con i taoisti. Quel Dharma, traducibile come dovere etico individuale che fu poi elaborato per noi da Immanuel Kant e che riecheggia nella sua celebre frase: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Il nostro Dharma è in Tibet adesso. Nessuno di noi è lontano da quel piccolo pezzo di mondo e quel “genocidio culturale” non ha solo gli occhi a mandorla degli sherpa, ma apre una profonda ferita anche alla base dei nostri stessi valori occidentali, che spesso difendiamo senza conoscere così a fondo come dovremmo.
 

Formiche.net aderisce alla manifestazione a sostegno del popolo Tibetano organizzata dal Riformista e da Radio Radicale, in programma domani, mercoledì 19 marzo, dalle ore 16:30 a Campo de´ Fiori a Roma.

Il Dharma del mondo. Perchè siamo tutti Tibetani

Ogni volta che immagino il Buddha in quello che raccontano essere stato il suo ultimo gesto in vita penso a Luigi Pirandello. Il principe Gautama Siddharta, nato a Benares e diventato famoso nel mondo con il nome di Buddha, ossia "illuminato", poco prima di morire di fronte ai suoi discepoli sorrise ed in silenzio sollevò un fiore di loto. Pirandello…

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