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La crisi finanziaria mondiale prima e l’implosione del debito sovrano poi, sono stati affrontati dallo “Stato salvatore” mediante le leve della politica monetaria e fiscale, che hanno inondato il mercato con un eccesso di liquidità, salvando banche e banchieri, mentre affogavano nel debito nazioni, famiglie e imprese. La crisi ci impegna a riprogettare il nostro cammino, a gestire il cambiamento con coraggio e a guardare al futuro con speranza, ripensando innanzitutto valori etici e standard globali, regole efficaci e prassi virtuose, teorie economiche e strumenti applicativi, da porre alla base di un modello di sviluppo sostenibile e di un sistema finanziario dal volto umano, fondato su di un rinnovato patto di fiducia tra Stato, mercato e società civile. In questo quadro, il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia assume una veste diversa: gli Stati da fattori di crisi diventano attori nella soluzione dei problemi in un “gioco cooperativo” con il settore privato e il mercato per promuovere regole, incentivi e strumenti finanziari a sostegno del credito alle famiglie e alle piccole e medie imprese, e di strategie di investimento infrastrutturali per il bene comune.
 
Ripensare il rapporto pubblico-privato attraverso accordi, convenzioni e partnership significa che lo Stato non retrocede nei suoi spazi a favore dei privati secondo la prospettiva liberista, né li occupa sostituendosi ad essi in una logica dirigista, ma facilita un sistema di connessioni e zone di intersezione per raggiungere scopi condivisi. Con la sua autorevolezza e moral suasion, il neue Staat stabilisce le condizioni dove i diversi attori pubblici e privati, come le pedine di una scacchiera, muovono le regole stesse, modificandole o creandone di nuove, a seconda dei risultati e delle finalità di interesse collettivo da realizzare in modo pragmatico. Se da un lato la “buona finanza” torna al servizio dell’economia reale attraverso l’uso sapiente di strumenti innovativi, capaci di proiettarsi sia nel breve sia nel lungo termine, dall’altro la “buona politica” riconquista gli spazi del mercato e ridefinisce i tempi della finanza, rafforzando la fiducia nelle istituzioni e la coesione sociale.
 
Su questo rinnovato rapporto tra Stato e mercato, i programmi d’investimento pubblico in infrastrutture e l’evoluzione nel settore private equity rappresentano il laboratorio dove sperimentare nuove politiche economiche e industriali per far convergere gli obiettivi di crescita di lungo termine con le esigenze puramente finanziarie, soprattutto in un momento storico di grave deficit dei bilanci pubblici. Ne è un esempio il Fondo italiano di investimento a sostegno delle piccole e medie imprese, promosso dal ministero dell’Economia e delle finanze, da Cassa depositi e prestiti, e dalle principali banche, dove lo Stato è socio di minoranza, e pur senza investire direttamente nel fondo riesce con la sua autorevole presenza a garantire la remunerazione del capitale per la parte privata dei soci investitori, e a realizzare al tempo stesso l’obiettivo generale della crescita del sistema produttivo, rendendo più solide e redditizie le imprese, e facilitando la qualità e l’accesso al credito.
 
In altri termini, lo Stato coopera per aumentare la “misura della torta” a vantaggio del benessere generale, per poi lasciare liberi i privati di competere per “dividere la torta”, migliorando in tal modo la qualità dei prodotti e la prestazione dei servizi a vantaggio dell’intera collettività. Il modello della “co-opetition”, o concorrenza cooperativa, dovrebbe essere replicato anche a livello europeo e transnazionale dove il “gioco di squadra” rappresenta l’unica strategia possibile in un mondo dove la ricerca di risorse naturali ed energetiche scarse, le innovazioni tecnologiche e le infrastrutture diventano il tavolo su cui giocare la competizione tra sistemi-Paese, per attrarre ingenti capitali e investimenti in una logica industriale di lungo periodo. Per tale ragione, nei Paesi sviluppati e nelle economie emergenti il settore delle grandi opere infrastrutturali è in continua espansione e rappresenta il campo dove si ricercano modalità e soluzioni innovative per finanziarle e gestirle, senza gravare sui bilanci pubblici dei governi, stimolando e coinvolgendo il mercato dei capitali e le capacità imprenditoriali dei privati nella realizzazione di obiettivi sociali.
 
In presenza di queste global dynamic, lo strumento del private equity applicato al settore degli investimenti infrastrutturali si dimostra un importante driver in grado di convogliare la realizzazione di buoni e stabili rendimenti da parte dei fondi privati con le nuove esigenze degli investitori istituzionali, dotati di ingenti risorse finanziarie. In questo contesto internazionale si muovono il Fondo italiano per le infrastrutture (F2i) e il Fondo strategico italiano (Fsi), promossi ancora una volta dal ministero dell’Economia con l’ingresso di Cassa depositi e prestiti, e di importanti banche. Questi fondi costituiscono non solo lo strumento in mano di privati per realizzare finalità istituzionali, attraverso operazioni di co-investimento e acquisizione di quote di controllo, ma rappresentano soprattutto un modello di innovazione finanziaria, capace di colmare il gap infrastrutturale del nostro Paese, sviluppando reti e creando filiere nei settori strategici del gas e dell’acqua, delle energie rinnovabili e delle telecomunicazioni, della logistica e dei trasporti della difesa. In un’ottica alternativa al mercato dei capitali, si collocano gli Eurobond, la cui emissione, se mantenuta al di sotto del limite del 60% del debito pubblico, costituisce un valido ed efficace strumento per finanziare investimenti pubblici europei, in grado di stimolare la crescita, l’occupazione e la competitività dell’intera Eurozona.
 
Di fronte alla crisi del debito sovrano e alle prospettive di recessione del nostro Paese e dell’Europa, le scelte politiche nazionali e comunitarie che verranno prese nel settore degli investimenti in grandi infrastrutture saranno il banco di prova dove il “buon governo” con una visione d’insieme e di lungo periodo potrà combinarsi con gli strumenti della “buona finanza” per rilanciare la crescita economica e lo sviluppo sostenibile degli Stati.

Politiche di buona finanza

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