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La Primavera araba è entrata in una nuova fase con il collasso del regime di Gheddafi, ma è ancora troppo presto per dichiarare l’Africa settentrionale stabilizzata. Accordi di peace keeping potrebbero presto rendersi necessari in una Libia attraversata da fratture etniche e religiose. I leader politici dovrebbero pensare ad accordi di lungo periodo, e anche considerare un nuovo quadro di sicurezza collettivo per la regione del Maghreb nel suo insieme. In breve, l’area richiede una nuova Nato, intesa come North Africa treaty organisation (Organizzazione del trattato del Nord Africa).
 
Disordini e instabilità portati nel mondo arabo dalla cosiddetta Primavera (un termine che molti attivisti politici arabi rifiutano in favore di “rivoluzione” o “rivolta”) è lungi dall’essere finita. E il modo migliore per l’Europa di placare gli animi e muovere in direzione di governi democratici e con uno sviluppo economico più robusto è contemperare la cooperazione economica con un approccio regionale alla sicurezza.
 
La Lega araba ha fallito nel momento in cui le rivolte popolari hanno preso piede. La Nato, dal canto suo, afferma che il proprio ruolo in Africa settentrionale sta per venire meno. L’Alleanza atlantica non ha né la volontà politica né le risorse finanziarie per proseguire il proprio coinvolgimento in Libia. Dato che le tensioni tra le regioni orientali e quelle occidentali del Paese sembrano destinate a proseguire, la migliore soluzione è probabilmente una forza di peace keeping delle Nazioni Unite con contingenti asiatici ed africani, affiancata da un dispositivo transnazionale di sicurezza specificamente legato al mondo arabo. Di qui l’idea di una Nato-2.
 
Sarebbe tuttavia preferibile creare un nuovo ombrello protettivo nordafricano sotto l’egida dell’Unione europea, piuttosto che collegarlo alla Nato. I governi europei sono consapevoli di poter svolgere un ruolo trainante nella strategia di ricostruzione delle fragili economie arabe. Per questo, introdurre una forte componente di sicurezza nelle loro partnership per lo sviluppo avrebbe certamente senso.
 
La politica di sicurezza e difesa del Vecchio continente è stata finora intralciata dalle declinanti capacità militari degli Stati membri e dalla generale mancanza di coesione. Aiutare la costruzione della stabilità politica e militare nel mondo arabo sarebbe un grande risultato, e poche organizzazioni internazionali (o forse nessuna) hanno l’esperienza dell’Unione europea in termini di cessione volontaria di poteri sovrani. Fino a tempi molto recenti, per i leader politici europei la sola idea di un’alleanza militare sarebbe stata impensabile.
 
I capi della burocrazia della Commissione europea hanno assai maggiore familiarità con le politiche di cooperazione commerciale ed economica che con la sicurezza militare. Oggi, però, con la creazione, sancita dal Trattato di Lisbona del 2009, di un “ministero degli Esteri” dell’Unione europea (il Servizio europeo di azione esterna – European external action service) l’Europa è tenuta a fare della politica di sicurezza un elemento cruciale delle sue relazioni con i Paesi arabi.
 
C’è molto terreno da recuperare qui. Le relazioni europee con i vicini del Maghreb sono state deludenti. Né gli autocrati arabi né l’Unione europea hanno cercato di sviluppare un approccio collettivo, sicché accordi commerciali bilaterali “su misura” e accordi di associazione sono stati la norma. Proprio questo approccio da parte dei governi arabi è stato la causa della povertà e della mancanza di opportunità nei loro Paesi. Solo il 2-3% del modesto commercio estero dei Paesi nordafricani avviene all’interno della regione. Si è quindi mancato l’aggancio all’espansione economica internazionale che negli ultimi vent’anni ha migliorato le condizioni di vita di miliardi di persone, strappandole all’arretratezza e alla miseria in Asia, America latina e perfino nell’Africa sub-sahariana. Non vi è ormai dubbio che la mancanza di lavoro sia stata altrettanto importante della mancanza di libertà e di diritti umani nel provocare la scintilla della Primavera araba.
 
I Paesi del Maghreb sono riusciti ad attrarre poco più che una goccia del mare degli investimenti esteri, e la principale origine di questo piccolo flusso è l’Europa. La lobby degli agricoltori della Ue ha fatto in modo da limitare l’accesso al mercato europeo di prodotti competitivi (come quelli agroalimentari) provenienti da quest’area. Non sorprende dunque che la principale voce di esportazione del Maghreb siano giovani maschi in cerca di una vita migliore.
 
Nessuno sa dove andrà la Primavera araba. Ma in Egitto e Tunisia come in Libia, le politiche post-rivoluzionarie saranno estremamente volatili. Un primo passo verso la normalizzazione sarebbe la creazione di un forum permanente dove i leader emergenti possano mettere insieme le forze quando discutono delle ragioni di scambio e di altre questioni economiche, e dove anche possano essere in costante comunicazione l’uno con l’altro. Nei suoi primi anni la Nato fu, oltre che un antemurale alle manovre sovietiche, anche un veicolo per creare nuove e strette relazioni tra gli ex-nemici della Seconda guerra mondiale.
 
Dal timido Processo di Barcellona degli anni Novanta, al “molto rumore per nulla” generato dall’attuale Unione per il Mediterraneo, il Vecchio continente si è diviso tra la
preoccupazione per la stabilità nordafricana e una serie di misure egoistiche di protezione della propria cultura e della propria economia. La tempesta politica nel mondo arabo è lungi dall’essere terminata, e i politici europei lentamente si rendono conto che devono costruire relazioni molto più generose e lungimiranti. Non sarà solo un dispositivo di sicurezza, ma non potrà essere nemmeno limitato ai soli aspetti economici.
 
© Project Syndicate 2011. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia

In Maghreb nuova Nato cercasi

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