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È l’italiano con il ruolo istituzionale più importante in Europa e nel mondo; giunto al vertice della Bce superando trabocchetti nazionali e pregiudizi teutonici, tocca a lui salvare l’euro. Basterebbe già questo per nominarlo personaggio dell’anno; Mario Draghi, però, ha giocato un ruolo essenziale anche nella caduta del governo Berlusconi. Il primo capitalista alla guida di un Paese democratico, non ha capito il mercato e non ha saputo affrontarlo. Già nell’agosto scorso, quando è cominciato l’assalto, il governatore uscente della Banca d’Italia aveva dettato l’agenda con la lettera firmata insieme a Jean-Claude Trichet, ma il Cavaliere ha fatto orecchio da mercante avviandosi verso l’ineluttabile tracollo.
 
Uomo delle svolte, Draghi tira fuori il meglio di sé nelle emergenze. Chiamato al Tesoro da Guido Carli nell’autunno della Prima repubblica, ha gestito la faticosa transizione con ben dieci governi: dalla caduta della lira con Giuliano Amato a palazzo Chigi, ai brevi gabinetti tecnico-istituzionali di Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini. Poi la stagione del centrosinistra che smonta il modello democristiano, fino all’ingresso nell’euro. Il potente direttore generale getta la spugna proprio con l’avvento della moneta unica, quando diventa ministro Giulio Tremonti e la destra padano-populista agita contro di lui lo spettro del Britannia, quell’incontro del 2 giugno 1992, a bordo dello yacht reale, con le banche d’affari anglo-americane protagoniste delle privatizzazioni.
 
Draghi va in Goldman Sachs con un ruolo operativo, evocando altri fantasmi. Quando nel 2005 viene chiamato a rimpiazzare Antonio Fazio a palazzo Koch, al governo c’è Berlusconi, però è Ciampi dal Quirinale a dire la parola risolutiva. Super Mario, come cominciano a chiamarlo, affida le azioni Goldman a un blind trust: nell’era del supremo conflitto d’interesse ottiene il plauso generale, eppure c’è chi lamenta che non abbia venduto tutto. Non è la brama di denaro il suo punto debole. Grand commis al servizio del proprio Paese, fa parte di una élite multinazionale basata sulla competenza e sulla relazione insieme, esponente di quella “cricca di Davos” che da decenni impone nel bene (la globalizzazione) e nel male (il primato della grande finanza) il paradigma che ha guidato il mondo.
 
Ora Draghi, economista provetto (Ph.D al Mit di Boston, direttore alla World Bank), ma soprattutto uomo d’azione, dovrà cambiare la Bce. Sta diventando una convinzione diffusa, persino in Francia, che anche la Banca centrale europea debba agire come creditrice di ultima istanza per gli Stati. La Bundesbank è contraria in nome dello statuto che, in realtà, vieta solo gli acquisti di titoli direttamente dal Tesoro, mentre sul mercato secondario può operare senza limiti. Dunque, l’Eurotower possiede tutte le armi per sparare contro chi scommette sulla fine della moneta unica. Al suo debutto, Draghi ha ridotto di un quarto di punto il tasso di riferimento e ha bacchettato i governi confusi e divisi. Troppo poco, secondo Paul Krugman. Troppo per Berlino. Ma un liberal americano o una protestante tedesca come Angela Merkel, potranno mai capire di primo acchito un romano educato dai gesuiti? Diceva Ignazio da Loyola: Todo modo para buscar…

La centralità di un banchiere centrale

È l’italiano con il ruolo istituzionale più importante in Europa e nel mondo; giunto al vertice della Bce superando trabocchetti nazionali e pregiudizi teutonici, tocca a lui salvare l’euro. Basterebbe già questo per nominarlo personaggio dell’anno; Mario Draghi, però, ha giocato un ruolo essenziale anche nella caduta del governo Berlusconi. Il primo capitalista alla guida di un Paese democratico, non…

Africa al bivio politico

La nuova configurazione strategica del Maghreb e dell’Africa del nord, dopo le varie “primavere arabe”, non deve farci dimenticare che il Continente nero è, dal punto di vista geopolitico ed economico, una rete di relazioni fortemente integrata, che va dalle economie export oriented del Mediterraneo meridionale, legate ai cicli dei prodotti “maturi” delle economie Ue, fino alle strutture produttive legate…

2012, l'anno della discontinuità

Un anno fitto di appuntamenti elettorali il 2012, dalle presidenziali di grandi Paesi come Stati Uniti, Russia e Francia a quelle delle assemblee legislative dei Paesi protagonisti della Primavera araba. A prima vista appare difficile identificare un denominatore comune per eventi così diversi, eppure forse è possibile farlo a partire dalla sensazione che questo biennio sarà probabilmente ricordato dagli storici…

Giganti al voto

Se il 2011 vi è sembrato un anno turbolento, scosso dalla crisi dei debiti sovrani e dalle rivolte della Primavera araba, dovreste forse prepararvi ad allacciare le cinture per un 2012 ancora più intenso. Il mondo conoscerà nei prossimi dodici mesi una serie di appuntamenti elettorali destinati a stravolgere la carta geopolitica del pianeta. Si vota in molti Paesi, con…

Caleidoscopio elettorale

Nel Pacifico spiccano le elezioni asiatiche di Taiwan e Cina, oltre a quelle già tanto commentate negli Stati Uniti e a quelle meno visibili di Messico e Venezuela. Nelle due Cine si ripete un’incognita e una tensione che accompagna ogni elezione politica a Taipei: indipendenza sì o no? In realtà il dilemma rischia di essere sempre più rituale man mano…

Presidenziali Usa, tra Wall Street e Zuccotti park

Le democrazie moderne hanno sempre offerto il fianco a una critica specifica: i cicli elettorali possono influenzare eccessivamente – dunque in peggio – il processo decisionale. L’osservazione è fondata, e due sviluppi tecnologici hanno acuito il problema negli ultimi anni: da una parte, i flussi di informazioni e i media a getto continuo hanno compresso i tempi della comunicazione (e…

Obama, ancora tu?

It’s the economy, stupid. Correva l’anno 1992 quando James Carville, lo stratega della campagna elettorale di Bill Clinton, sottolineava con questa formula, tanto colorita quanto efficace, quale fosse il tema vincente per conquistare la Casa Bianca. Vent’anni dopo, con le presidenziali del 2012 all’orizzonte, quel monito torna ad essere attuale ed anzi si fa persino più stringente per Barack Obama…

Nei panni di John the plumber

Le statistiche e la storia sono contro la rielezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, nel 2012. Le statistiche sostengono che è difficile per i politici in carica essere rieletti quando la recessione persiste e la sfiducia dell’opinione pubblica cresce. L’impatto della recessione sul mercato elettorale è quasi automatico: è successo in Gran Bretagna e in altri Paesi…

Ai repubblicani non basterà un tea

Sulle elezioni presidenziali del 2012 pesa l’incognita della rielezione di Barak Obama. Raramente, nella storia dell’ultimo secolo, un presidente in carica che aspira al secondo mandato quadriennale (come prevede la Costituzione) viene bocciato. Nel dopoguerra è accaduto solo due volte: con il democratico Jimmy Carter nel novembre 1979 quando è stato sconfitto da Ronald Reagan, e con il repubblicano George…

Russia. Poca suspense, molti dubbi

Con una mossa che cancellava precedenti prese di posizione, Dimitry Medvedev il 24 settembre scorso ha proposto l’attuale primo ministro russo, Vladimir Putin, come prossimo capo dello Stato. Un presidente giovane, in salute e con un bilancio tutto sommato dignitoso del proprio lavoro, ha rinunciato alla seconda nomination per lasciare via libera all’uomo che è anche il suo predecessore. Una…

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