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Il Mediterraneo sta conoscendo una monumentale trasformazione politica. Le proteste sulla sua sponda meridionale hanno messo in moto un processo di democratizzazione di questa regione. In modo meno visibile forse, si sta verificando un altro ritorno, ugualmente importante in termini geopolitici. Lo spostamento della bilancia del potere mondiale da occidente ad oriente, dall’Atlantico al Pacifico, sta causando notevoli apprensioni negli Stati Uniti e in Europa. La loro perdita di potere geopolitica ed economica è evidente. Anche se le future mosse delle nuove potenze emergenti – Brasile, Cina e India – restano incerte, questo cambiamento potrebbe rappresentare comunque un’opportunità per il bacino mediterraneo. L’area atlantica ha dominato gli ultimi tre secoli in cui il baricentro del mondo era ad occidente. Con il baricentro spostato a oriente, invece, i principali nessi globali sono oceano Pacifico e oceano Indiano e – vista la stretta relazione che oggi unisce Asia ad Europa – il mar Mediterraneo.
 
In numeri, il traffico di container tra Estremo oriente ed Europa oggi raggiunge i 18 milioni di Teu (tonnellate equivalenti) all’anno, contro i 20 milioni di Teu di scambi transpacifici e i soli 4,4 milioni di Teu di scambi transatlantici tra Europa e America. Il flusso di container tra Estremo oriente ed Europa utilizza le rotte mediterranee attraverso il Canale di Suez – una via assai più rapida rispetto al passaggio del Canale di Panama, la circumnavigazione dell’Africa, o anche la (per ora ipotetica) rotta artica libera dai ghiacci. Nonostante la prevalenza della rotta mediterranea per il traffico di container tra Europa ed Estremo oriente, il 72% delle merci in arrivo nell’Unione europea passa attraverso i porti del nord (per esempio Le Havre, Anversa, Rotterdam, Brema e Amburgo), mentre solo il 28% sbarca nei porti sud-europei di Barcellona, Marsiglia, Valencia e Genova. Oltre la metà dei container diretti a Milano dall’Estremo oriente viene scaricato nei porti nordeuropei. In altre parole, la maggior parte delle navi provenienti dall’Asia orientale entrano nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez e passano davanti a Genova, Marsiglia, Barcellona e Valencia, aggiungendo altri tre giorni prima di approdare a Rotterdam o ad Amburgo. Scaricare le merci in un porto atlantico invece che in un porto sud-europeo implica quindi un considerevole aggravio finanziario e ambientale, erodendo la competitività europea. Secondo un’analisi del Porto di Barcellona, tenendo conto della destinazione finale e della provenienza di merci importate ed esportate, la distribuzione ottimale dal punto di vista economico ed ambientale del flusso di container dovrebbe essere al 37% nei porti nord-europei e al 63% in quelli sud-europei.
 
Lo studio, basato in parte sulla metodologia dell’Agenzia europea per l’ambiente, giunge alla conclusione che ridirigere il traffico verso i porti dell’Europa meridionale ridurrebbe le emissioni di CO2 di almeno il 50%.
Certo, un ribilanciamento di questo tipo è oggi impensabile per ragioni tanto politiche quanto economiche. Dopo tutto, l’attuale squilibrio nei traffici di container riflette il dinamismo economico dell’Europa settentrionale, l’efficienza dei suoi porti, l’eccellenza delle infrastrutture stradali e ferroviarie che li collegano virtualmente ad ogni angolo del continente, e le economie di scala generate dal volume di merci che intermediano. Tuttavia, poiché si prevede che il traffico di container aumenterà del 164% entro il 2020, i porti dell’Europa meridionale dovrebbero essere messi in grado di aumentare la loro quota di traffici tra Europa e Far east del 40-50%. Per ottenere questo risultato, i porti dell’Europa meridionale hanno bisogno di un’infrastruttura logistica rafforzata, in particolare di collegamenti ferroviari che li aggancino alla rete europea principale. La politica dei trasporti transeuropei (Ten-T), attualmente in corso di revisione da parte dell’Unione europea, è fondamentale da questo punto di vista: essa fornisce le linee guida per lo sviluppo delle infrastrutture fondamentali del vecchio continente. Sebbene queste infrastrutture siano finanziate in gran parte dai singoli Stati membri della Ue tramite fondi propri, la Ten-T è vincolante e demarca le priorità per ciascuno dei partecipanti. Quindi è assolutamente fondamentale che la Ten-T rispecchi l’importanza dei collegamenti ferroviari per i porti dell’Europa meridionale.
 
A questo scopo, il criterio politico guida dovrebbe essere quello dell’efficienza, contemperato dalla considerazione dei costi ambientali del trasporto via terra e via mare. Se l’Europa e le sue imprese vogliono restare competitive e raggiungere l’obiettivo strategico di “Europa 2020” – un continente che utilizza le sue risorse con efficienza – l’infrastrutturazione ferroviaria del Mediterraneo è vitale. Certo, vi è un’altra condizione – di natura geopolitica – che deve essere soddisfatta per ottenere questo riequilibrio: il Canale di Suez deve continuare ad essere una via di passaggio sicura ed affidabile. Qualsiasi minaccia alla sua normale operatività sposterebbe le rotte tra Europa ed Estremo oriente verso la punta meridionale dell’Africa, marginalizzando il Mediterraneo (e facendo salire vertiginosamente i costi del trasporto).
Il Mediterraneo ha svolto un ruolo cruciale nelle prime civilizzazioni in Egitto e Mesopotamia, è stato il mare dei fenici, dei greci e dei romani, ed è stato il centro del mondo prima per arabi e barbari, poi per ottomani e spagnoli. Oggi, dopo aver perduto peso a seguito dell’apertura di nuove direttrici del commercio europeo (verso le Americhe e l’oriente), il Mediterraneo ha la grande opportunità di recuperare il prestigio perduto.
 
Project Syndicate, 2011. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia

L'importanza dei porti...

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