Skip to main content

Ucraina sì, Ucraina no, Ucraina dipende. Sono i tre scenari di fronte cui i vari alleati di Kiev si trovano ogni qualvolta c’è da approvare una nuova tranche di aiuti. Soprattutto negli Stati Uniti, visto che parliamo del maggior finanziatore sia in termini economici che militari. E, dunque, quello in cui la faccenda è più complessa, almeno all’apparenza. Con le elezioni tra poco più di un anno, la campagna elettorale è già partita e ogni candidato prova a toccare le corde che più fanno piacere ai suoi elettori. Se sulla sponda democratica – incarnata dall’unico candidato al momento credibile, quale è Joe Biden – l’unica necessità è porre quanto prima fine alla guerra, così da rivendicarla come carta preziosa da giocare, i dubbi più arzigogolati appartengono ai conservatori, meno convinti che sostenere gli ucraini fino alla fine rappresenti un gioco che vale la candela.

Joe Biden

Per il presidente americano parlano i fatti. Tutto si può dire, tranne che non si sia prodigato nel supporto a Kyiv, sia in termini di aiuti umanitari sia di armi con cui combattere la Russia. Gli Stati Uniti sono infatti il principale alleato dell’Ucraina (a un anno di guerra, i miliardi donati erano 46,65), sebbene abbiano soppesato i contributi. Non lesinando su qualche zero in più da scrivere sull’assegno, piuttosto sulle conseguenze geopolitiche. Biden ha infatti consegnato ciò che inizialmente aveva negato di dare – carri armati, missili a lungo raggio e via dicendo – per ragioni che non andavano contro il lecito diritto a difendersi, bensì per evitare di allargare il conflitto. Soprattutto, quando parla in merito al conflitto, il leader dei democratici ha sempre due destinatari: il popolo ucraino e quello americano.

Realisticamente parlando, nessuno può addossargli colpe per ciò che accade alle porte dell’Europa, ma è anche vero che l’America ha problemi enormi su cui i cittadini vorrebbero delle risposte concrete, a iniziare dall’inflazione. Se la guerra dovesse continuare fino (se non oltre) il novembre del 2024, mese e anno in cui gli elettori statunitensi saranno chiamati alle urne, c’è da credere che sarà un argomento caldissimo nella campagna elettorale. Anzi, a voler azzardare il salto, lo sarà ad ogni modo. Biden vedrà rivolgersi l’accusa di aver trascurato gli Stati Uniti per pensare a problemi lontani migliaia di chilometri. Lui risponderà che il compito di Washington è anche vigilare sul rispetto della democrazia nel mondo.

Donald Trump

Se tornasse presidente, Donald Trump ci metterebbe appena “24 ore” a far terminare la guerra. Lo ha detto qualche tempo fa alla Cnn, lasciando ben intendere come su una questione altamente complessa come questa non ci starebbe a riflettere troppo. Più che dividere la storia in “vincitori e vinti”, Trump preferisce trincerarsi dietro la volontà di salvare vite umane, sia ucraine sia russe, oltre che dietro le opportunità per l’America, dicendo ai suoi elettori come “non abbiamo le munizioni per noi” e nel frattempo “stiamo regalando così tanto”. A pesare sulla sua figura è anche l’amicizia, vera o di facciata, che ha tessuto nel corso degli anni con Vladimir Putin. Tanto che durante i loro incontri bilaterali avrebbero discusso molto spesso delle intenzioni di Mosca di invadere l’Ucraina, senza che a Trump sorgesse il pensiero che il suo omologo russo potesse far sul serio. “Il suo errore è stato entrare [in Ucraina], se fossi stato presidente non sarebbe mai entrato”, ha affermato facendo intendere di essere a conoscenza dei piani moscoviti.

Tuttavia, sul fatto che con Trump non ci sarebbe stata la guerra c’è più concordanza di quello che si possa credere. Se l’obiettivo ultimo del Cremlino è la distruzione dell’Occidente, Trump lo stava aiutando benissimo con i litigi interni alle alleanze transatlantiche. Tanto che secondo il tycoon di Manhattan non andrebbe chiamato “criminale di guerra”, perché si arrabbierebbe e non vorrebbe più trattare la pace (come se adesso lo stesse facendo). Per il momento, lui si limita a definirlo “un uomo intelligente” – addirittura “un genio” per la sua soluzione di dividere in due l’Ucraina – che “ha commesso un errore tremendo”. Nulla di più. Le sue responsabilità, al massimo, devono essere accertate quando le armi taceranno: come The Donald intenda far finire la guerra, però, non è ancora dato saperlo.

Ron DeSantis

Si può dunque affermare che i due principali candidati la vedano in modi opposti sull’Ucraina. Un altro candidato repubblicano, Ron DeSantis, sembra invece avere un’opinione ambigua. Quanto accade nell’est Europa è chiaramente colpa della Russia, che “ha ovviamente invaso” un altro Paese così come aveva già fatto con la Crimea, ha aggiunto. E di questa situazione Putin è l’autore principale, che lo rende “un criminale di guerra”. Se debba essere o meno perseguito dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) il governatore della Florida non lo sa, nel senso che non è esperto di procedure penali: tuttavia, ha chiarito che se questo aiuta a certificare il presidente russo come responsabile, ben venga.

Ciononostante, hanno fatto rumore alcune sue considerazioni sull’argomento, espresse a Tucker Carlson, fino a poche settimana il più popolare anchorman di Fox News (ora si è buttato su Twitter con Elon Musk, ma Rupert Murdoch minaccia di fargli causa perché è ancora sotto contratto). Quella in Ucraina sarebbe “una disputa territoriale”. Parole che hanno suscitato subito reazioni, che lo stesso DeSantis ha provato a placare. Il riferimento era al Donbass e alla Crimea, dove i combattimenti sono più intensi, e non alludeva ad altro. L’Ucraina “ha diritto a quel territorio” e “se potessi schioccare le dita, glielo restituirei”. Quindi non giustifica l’operazione russa. Detto ciò, “non penso che questo sia un motivo sufficiente per aumentare il coinvolgimento, non vorrei vedere lì le truppe americane”. Il giudizio di DeSantis, insomma, sembra altalenante: in realtà può essere una mossa elettorale per prendere quanti più consensi bipartisan possibili. Tanti americani pensano infatti che quella in Ucraina sia una tragedia, ma che non li riguarda direttamente. America First, di nuovo.

Mike Pence

A rimproverare gli altri due (Trump e DeSantis), ci ha pensato l’ex vicepresidente Mike Pence. “Conosco la differenza tra un genio e un criminale”, ha affermato alla Cnn riferendosi al suo vecchio capo. “So che alcuni in questo dibattito hanno definito la guerra in Ucraina territoriale. Non lo è”, ha detto puntando il dito contro il governatore della Florida. L’idea che si è fatto Pence del conflitto è molto più simile a quella di Biden, che non a quella degli altri colleghi di partito. È ben conscio di quanto lontano siano i combattimenti e di quanto questi possano sembrare incomprensibili agli occhi degli americani, ma come l’attuale presidente ne fa una questione di posizionamento geopolitico degli Stati Uniti. “Non fatevi illusioni: questa non è la guerra dell’America. Ma se vacilliamo nel nostro impegno a fornire il sostegno al popolo ucraino a difendere la sua libertà”, ha sottolineato dal Texas nel giorno del primo anniversario dell’invasione, “i nostri figli potrebbero presto essere chiamate la nostra”. Un messaggio rivolto soprattutto al Gop. “Vorrei essere chiaro: non può esserci spazio nella leadership del partito per gli apologeti di Putin”.

Tim Scott

Pence non è stato l’unico a rispondere a Trump. “Penso non ci sia nulla di intelligente nell’invadere un altro Paese”, ha spiegato l’altro candidato repubblicano, Tim Scott. Le dichiarazioni del tycoon sono state “un errore”, ma il pensiero del giovane governatore della Carolina del Nord è più largo. L’Ucraina è stata invasa due volte, nel 2014 quando alla Casa Bianca c’era Barack Obama e nel 2022 con Joe Biden, e quindi una stoccata ai Dem non è mancata. “Quando non ci presentiamo forti, quei leader che vogliono mostrarsi ancor più forti lo fanno quando abbiamo una guida debole sulle questioni che la nostra nazione e il nostro Paese devono affrontare”. Secondo lui, l’attuale presidente “ha aspettato troppo a lungo per dare troppo poco sostegno”. Se ci fosse stato lui alla Casa Bianca, probabilmente Kyiv si sarebbe sgolata molto meno per ottenere ciò che ha avuto – sebbene tra il dire e il fare ci sia di mezzo un abisso.

Nikki Haley

Nonostante si possa dire che su molti argomenti abbia subito l’influenza del trumpismo, sull’Ucraina Nikki Halley ha le idee chiare. Sia quanto espresso da Trump che da DeSantis nasconde un’ingenua fiducia riposta in Putin. “Se l’Ucraina si ritirasse, allora assisteremmo tutti a una guerra mondiale”. Quanto detto per gli altri due prima di lei, vale anche per la senatrice di Bamberg.

Cosa pensa davvero il Partito Repubblicano

Parliamoci chiaro: le intenzioni del partito repubblicano sono in realtà diverse da quello che esprimono. Ogni volta che c’è da approvare un nuovo pacchetto di aiuti, a Kyiv c’è apprensione per quello che potrebbe votare il Grand Old Party. La realtà, tuttavia, è ben diversa. Oltre al fatto che, come visto, le sfaccettature al suo interno sono molteplici, alla fin fine il partito conservatore non si è tirato indietro. “Non firmeremo un assegno in bianco per l’Ucraina”, aveva detto Kevin McCarthy prima di diventare Speaker della Camera, lasciando presagire uno scontro duro con i democratici, salvo poi fare il contrario. Un mese fa, quando aveva visitato Israele, McCarthy era stato incalzato da un giornalista russo che gli aveva chiesto se ci fosse stato un cambiamento negli aiuti americani all’Ucraina, sottintendendo che con lui le cose potrebbero cambiare. “Ha detto che non sostengo gli aiuti?”, gli ha contro risposto il leader conservatore. “No, ho votato per questi”, ha aggiunto. La questione, va ripetuto, è per lo più elettorale. Non è un caso che alle Midterm dello scorso anno la questione sia diventata centrale e non sarà un caso se dovesse ripresentarsi anche alle prossime elezioni. Nella difficile speranza che il dibattito si basi su come ricostruire l’Ucraina e non ancora sulla guerra che le ha mosso la Russia.

Il destino dell'Ucraina passa anche dai candidati alla Casa Bianca. Ecco cosa pensano

La guerra sarà un ago della bilancia fondamentale nella corsa alla Casa Bianca. Per il presidente Joe Biden parla ciò che ha fatto nell’ultimo anno e mezzo di conflitto. Per gli altri candidati repubblicani, e per il GOP in generale, la questione è invece più complessa. Tutte le posizioni e le sfumature

Crittologia moderna. Dalla teoria dell’informazione alla scienza dell’informazione quantistica

Di Achille Pierre Paliotta

L’importanza di mettere in evidenza che lo sviluppo della scienza e della tecnologia non sempre obbedisce a delle motivazioni di carattere internalista. Bensì… L’analisi di Achille Pierre Paliotta, primo premio nel concorso per tesi post-laurea sull’intelligence, organizzato dalla Società italiana di intelligence di Mario Caligiuri

Social e crimini di guerra. Così l'intelligenza artificiale rimuove le prove

Alcune piattaforme digitali come Meta e YouTube dicono di volere modificare le norme per proteggere gli utenti ed evitare che contenuti potenzialmente utili per i processi e le indagini sulle violazioni dei diritti umani spariscano senza essere archiviati. Ma la Bbc ha dimostrato che gli algoritmi cancellano automaticamente molti contenuti, non riuscendo a distinguere un crimine di guerra da un video “solamente” violento

Vi racconto la trappola cinese. La verità di Dolkun Isa

Di Dolkun Isa

Pubblichiamo un estratto del libro La trappola cinese, di Dolkun Isa, politico e attivista cinese uiguro della regione autonoma dello Xinjiang, e la prefazione del senatore Giulio Terzi Sant’Agata

L’IA e l’escalation a livello globale del dossier Taiwan

La convergenza di criticità storiche dell’industria tecnologica, delle questioni irrisolte a livello unionale e delle tensioni nell’area indo-pacifica rischiano di compromettere la sovranità europea sull’Intelligenza Artificiale. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara

Le sfide della transizione. Il libro di De Luca al Ministero della Cultura

Di Duccio Fioretti

La crisi dei principi tradizionali porta ad un interregnum della storia. Al ministero della Cultura giuristi, diplomatici e professori dibattono sulle sfide che caratterizzano “Lo Stato Globale di Emergenza”, titolo del libro presentato in quest’occasione dall’autore Valerio De Luca

L’Europa del futuro, basata sulla sostenibilità pragmatica. Scrive D'Adamo

Di Idiano D’Adamo

Punti di intesa tra la presidente del Parlamento europeo Metsola e la premier Meloni. Una scelta che muove verso l’Europa che verrà con al centro dell’agenda il concetto di sostenibilità pragmatica. Il commento di Idiano D’Adamo, docente di Ingegneria Gestionale alla Sapienza

I numeri (e gli obiettivi) del nuovo complesso militare-industriale europeo

L’Ucraina ha svelato che l’Europa non è militarmente preparata ad affrontare un conflitto convenzionale. Ma le reazioni iniziali non sono ancora state seguite da atti concreti. E senza le commesse dei governi, i grandi campioni continentali della Difesa si ritrovano con una capacità d’azione limitata

Sul Patto di stabilità l’Europa non marcia. La visione di Polillo

Non si può pensare di governare una riconversione produttiva, come quella ipotizzata dalla stessa Commissione europea, che prevede cambiamenti epocali ed al tempo stesso pensare che tutto ciò possa avvenire senza sborsare il becco di un quattrino

Sauditi a Teheran, emiratini a San Pietroburgo. Grandi movimenti mediorientali

Il ministro saudita a Teheran e il presidente emiratino a Mosca mandano messaggi chiari al mondo e parlano all’Occidente a proposito dei loro piani globali. E intanto bin Salman è da Macron

×

Iscriviti alla newsletter