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Donald Trump, alla fine, ha rispettato il copione, azionando la leva dei dazi contro le importazioni europee. Qualunque bene o macchinario in ingresso negli Stati Uniti dovrà necessariamente pagare un tariffa maggiorata del 20%. E così, Washington ha ufficializzato la guerra commerciale globale, con dazi reciproci del 10% a tutti (dal 5 aprile), che aumentano poi a seconda dei Paesi (dal 9 aprile). Al 20%, come detto, quelli per l’Ue, al 25% su auto straniere, acciaio e alluminio, già entrati in vigore in queste ore. Nel complesso, i dazi più alti sono stati apposti al Vietnam (46%), mentre tra gli altri Stati più colpiti ci sono Thailandia (36%), Taiwan (32%), Indonesia (32%), Svizzera (31%) e India (26%). Le aliquote più basse, invece, sono al 10%, come quelle applicate al Regno Unito.

I mercati hanno provato a incassare il colpo, ma senza successo. E alla fine è andato in scena un crollo generalizzato, il cui epicentro è stato l’Asia, affossate da una stretta alla dogana che per il mercato cinese vale il 34%. L’Hang Seng di Hong Kong è caduto del 2,26%, tonfo di Tokyo che a poco meno di mezz’ora dalla chiusura perdeva il 3,42%, mentre l’indice Szse component di Shenzhen ha chiuso a 1-,52% e lo Shanghai Composite a -0,53%. Quanto all’Europa, la reazione è stata più o meno la stessa: profondo rosso.

Mentre l’euro è balzato, arrivando a 1,098 dollari, e l’oro ha toccato nuovi record, Milano perdeva in avvio di seduta il 2% ma ha chiuso ancora peggio, a -3,6%. A Parigi il Cac40% è caduto del 3,4% a Francoforte il Dax è precipitato del 2,7%. Il petrolio, poi, è letteralmente sprofondato: nel caso del Wti crollando del 6%. Il barile di Brent, il greggio del mare del Nord ha fatto invece registrare una perdita del 5,80% a 70,60 dollari. E anche a Wall Street è andato in scena il panico: Il Dow Jones perde va in apertura il 2,62% a 41.142,50 punti, il Nasdaq cedeva il 4,40% a 16.831,59 punti mentre lo S&P 500 lasciava sul terreno il 3,4% a 5.486,62 punti.

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha affermato che gli europei sono “pronti a reagire” e stanno già lavorando a “un nuovo pacchetto di contromisure” nel caso in cui i negoziati con l’amministrazione americana dovessero fallire. Nel frattempo, però, c’è già chi fa i conti della nuova guerra commerciale. Sul versante del made in Italy, il dazio al 20% su tutti i prodotti agroalimentari porterà per esempio, secondo le stime della Coldiretti, a un rincaro da 1,6 miliardi per i consumatori americani, con un calo delle vendite che danneggerà le imprese italiane, oltre ad incrementare il fenomeno dell’italian sounding, con la diffusione di prodotti non originali.

Al calo delle vendite va poi aggiunto il danno in termini di deprezzamento delle produzioni, da calcolare filiera per filiera, legato all’eccesso di offerta senza sbocchi in altri mercati. Occorre ora lavorare a una soluzione diplomatica che venga portata avanti in sede europea. E ci saranno ripercussioni anche sul versante monetario. “Una escalation delle tensioni commerciali potrebbe vedere l`euro deprezzarsi e i costi delle importazioni aumentare”, mentre in Europa “le spese su difesa e infrastrutture potrebbero far salire l`inflazione tramite la domanda aggregata”, ha immediatamente messo in chiaro vicepresidente della Bce, Luis de Guindos intervenendo ad Amsterdam a una conferenza organizzata dall’International Federation of Accountants Chief Executives Forum. Ora non resta che attendere la risposta europea.

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