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Tutti dicono Mes. Per l’Italia di Giorgia Meloni è tempo di tornare a guardare in faccia l’Europa, che vuole e forse esige una ratifica del Trattato che istituisce e regola il Meccanismo europeo di stabilità, alias Fondo salva Stati. A poche ore dal rientro dal Giappone, teatro dell’ultimo G7 delle Finanze, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è volato a Bruxelles per giocare un’altra partita, dal sapore decisamente più politico: il sì dell’Italia al Mes, l’unico ancora mancante in Europa.

Sono mesi che Bruxelles martella Roma, affinché il governo decida di sciogliere la riserva. Senza il sì tricolore, non sarà possibile rendere operativo il Mes, nel senso che chi ne avrà bisogno non potrà semplicemente richiederlo. Proprio su questo gioca l’Ue, che nella due giorni Eurogruppo-Ecofin, proverà a mettere alle strette Giorgetti. Il quale, da parte sua, ribadirà in modo fermo la linea di Palazzo Chigi: l’Italia è pronta a ratificare il Trattato a patto che il Meccanismo sia messo al servizio della crescita e non venga relegato a mera ciambella di salvataggio, con tutte le contropartite del caso.

Il timore del governo è, infatti, da sempre legato all’innesco del Mes, percepito spesso come un potenziale cappio intorno al collo dello Stato che ne facesse richiesta. Per questo, Roma non darà nessun assegno in bianco. Lo stesso Giorgetti, ha in più occasioni ribadito che l’Italia ha intenzione di ratificare il Mes, ma punta a ottenere qualcosa in cambio. Il primo obiettivo, dichiarato, è quello di scorporare dalle regole di bilancio alcune spese per gli investimenti. Per ammorbidire la richiesta, Via XX Settembre ha provato anche a parlare di una deroga temporanea, in cui far rientrare anche gli investimenti legati al Pnrr, soprattutto quelli per la transizione digitale e ambientale.

La mossa di Giorgetti è soprattutto politica e risponde a dinamiche interne: il governo di centrodestra non può ratificare la riforma del Mes dopo averla bloccata in ogni modo, anche con i voti parlamentari. Una volta al governo non si può cambiare completamente idea. O, almeno, non senza ottenere nulla in cambio. Ma a Bruxelles la pensano diversamente, il tempo dei negoziati è scaduto, la pazienza finita. Insomma il Mes va approvato ora e subito.

Già al G7 di Niigata l’antifona era arrivata. A lavori ancora in corso, una fonte molto vicina alla Commissione europea aveva fatto capire che il pressing sull’Italia era nuovamente alle porte. “Il via libera al Mes farà parte della discussione sull’Unione bancaria al prossimo Eurogruppo, e ci si aspetta che il ministro italiano delle Finanze chiarisca quali siano i piani del governo. La ratifica è una prerogativa dei parlamenti nazionali e dobbiamo rispettare questo processo. Ma l’aspettativa è che l’accordo politico raggiunto tra i rappresentanti dei governi sia onorato. Ascolteremo attentamente come intenda procedere il governo italiano”.

Messaggio chiaro. Meno male che il Mes non sarà l’unico punto all’ordine del giorno. Nei prossimi due giorni i ministri finanziari affronteranno anche una discussione sulla situazione del sistema bancario in relazione agli eventi negli Usa e in Svizzera (Credit Suisse, ndr) degli ultimi tempi e, in particolare, sul rischio di liquidità e di fuga dei depositanti. Si tratta di una discussione generale per verificare se nella Ue occorre prendere delle misure dal punto di vista del quadro regolamentare partendo dalla valutazione di fondo positiva sulla solidità del sistema bancario europeo sia per quanto concerne il patrimonio che per quanto concerne i ratio di liquidità. Ma questa è un’altra storia.

L'Italia alla prova del Mes. La missione di Giorgetti

Nella due giorni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin ci sarà quasi certamente una nuova richiesta al governo di Giorgia Meloni. Bruxelles vuole il sì al Meccanismo di stabilità e lo vuole subito. Ma Roma punta a negoziare​

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