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Il tema attorno a cui si muovono gli affari globali in questi giorni è certamente la posizione espressa, in un’intervista con Politico e Les Echos, dal presidente francese Emmanuel Macron a proposito dell’autonomia strategica europea, incluse considerazioni riguardo al rapporto con Washington e alle relazioni con Pechino. Una questione che ha interessato molto gli osservatori in Cina, perché è andata a toccare argomenti e parole d’ordine che erano parte della narrazione di Xi Jinping. Per esempio, da anni il leader cinese parla di autonomia strategica europea come modo per tenere separarte le due sponde dell’Atlantico. Macron si esposto su ciò che per Pechino rappresenta un vantaggio strategico.

Tempus regit actum

Filippo Fasulo, Co-Head del Geoeconomics Center dell’Ispi, è d’accordo con chi sottolinea che le parole di Macron assumono particolare rilevanza a causa della tempistica. “Quelle dichiarazioni al ritorno dall’incontro con Xi sono già problematiche di per sé, ma poi si aggiunga anche quanto detto riguardo a Taiwan”, spiega Fasulo. Il passaggio specifico è questo: “La domanda a cui gli europei devono rispondere è: è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che su questo argomento noi europei dobbiamo diventare dei followers e prendere come esempio l’agenda degli Stati Uniti”, ha detto Macron. “È sembrata una riduzione della volontà e capacità della deterrenza europea nei confronti delle azioni di Pechino contro Taipei, che sono invece una questione di interesse internazionale. Ma inoltre, passa anche il messaggio che non tutte le crisi sono crisi globali, e questo contrasta col senso che l’Ue vuole trasmettere a proposito della guerra russa in Ucraina”, spiega Fasulo in una conversazione con Formiche.net.

“Va anche aggiunto che quanto detto da Macron a proposito di Taiwan mette in difficoltà la strategia francese nell’Indo Pacifico”, sottolinea. Discorso che in generale riguardo anche il posizionamento europeo nella regione. Perché, spiega l’esperto dell’Ispi, “quando Macron organizzava forum sull’Indo Pacifico per legittimare la sua posizione all’interno della regione, spingeva un ruolo di Parigi e di Bruxelles raccontando come il destino di quella parte di mondo riguardasse gli interessi globali, e dunque la Francia e l’Unione europea dovevano sedersi ai tavoli regionali come attori legittimi, in quanto direttamente toccati da certi destini”. E chiaramente, come dimostrano anche i più recenti fatti di cronaca, il dossier taiwanese influenza le dinamiche dell’Indo Pacifico e quelle internazionali: non è una questione di interesse interno cinese, come il Partito/Stato vorrebbe farla passare.

Narrazioni e interessi

Macron, secondo Fasulo, ha seguito uno schema già visto nel 2019, coinvolgendo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nella visita in Cina. Quattro anni fa, il presidente francese ricevette all’Eliseo il leader cinese con accanto l’allora presidente Ue Jean-Claude Juncker e l’ex cancelliera Angela Merkel, quasi a cercare la legittimazione europea delle posizioni francesi. “È condivisibile pensare che ci sia da discutere il tema del posizionamento dell’Ue a livello globale, collegato anche al rapporto Ue-Usa, ma ripeto che la scelta della tempistica di certe affermazioni non è corretta, perché sembra avallare la visione strategica di Pechino”.

La gestione delle relazioni con la Cina è parte del costrutto sull’autonomia strategica, probabilmente è uno dei dossier centrali: mettendo da parte le uscite di Macron, cosa fare con Pechino? “Fondamentalmente von der Leyen ha dettato una linea condivisibile, ossia lei dice che è  importante parlare di relazioni e investimenti, ma giustamente fa notare che la Cina è profondamente cambiata negli ultimi anni. Da qui nasce lo sforzo graduale in seno all’Ue di individuarla come ‘rivale sistemico’, e le recenti dichiarazioni della presidente hanno alzato l’attenzione sulle ambizioni di Xi di ‘cambiare l’ordine internazionale’ a proprio vantaggio”, spiega Fasulo.

Il de-coupling e noi

Per l’esperto di geo-economia dell’Ispi, con l’Ue c’è un fattore di fondo quando parla con la Cina: ha minore interesse strategico nel fare de-coupling rispetto agli Stati Uniti, perché l’Europa rimane comunque terza (in termini di peso specifico globale), e dunque ha meno da perdere degli Usa. “E inoltre paga un costo più alto, anche perché sta affrontando il de-cuopling dalla Russia. Si arriva qui al concetto di de-risking di cui ha parlato von der Leyen, ossia l’acquisizione di consapevolezza che Bruxelles è in parte più debole e in parte anche meno interessata di Washington a certe dinamiche. Tuttavia ha chiari i rischi”.

Macron stesso ne è in parte consapevole di quei rischi, tant’è che nella sua visita di Stato in Olanda di questi giorni ha parlato di sicurezza economica con un Paese che è parte del meccanismo – pensato da Washington e allargato anche a Tokyo – che sta cercando di imporre misure di export control contro la Cina sulle macchine stampa chip. “C’è da mettere sul tavolo una questione chiara: gli interscambi hanno un valore politico, questa è la geoeconomia. Per altro, quando parliamo di de-coupling non parliamo mai di qualcosa di totale, ma selettivo, limitato a questioni che possono essere politicamente critiche”, spiega Fasulo. “Questo è importante anche per l’Italia”, chiosa.

E l’Italia, appunto?

“Noi avevamo avviato un ingaggio con la Cina in un momento in cui tutti stavano facendo accordi, affari e in generale stavano migliorando le relazioni con Pechino. Poi è cambiato l’atteggiamento generale statunitense, e noi avevamo già preso il treno della Via della Seta. A quel punto ci siamo trovati in mezzo, guidati da un governo non troppo attrezzato a gestire certe situazioni. E Macron ne ha approfittato, prendendo in quel periodo posizioni in qualche modo di interesse sulla gestione delle relazioni con la Repubblica popolare”, ricorda Fasulo. Ora, secondo l’analista, la situazione è cambiata e le recenti dichiarazioni del francese stanno un po’ semplificando la vita per l’Italia, con il governo che in questo periodo è arrovellato sul decidere cosa fare con il Memorandum of Understanding firmato dall’esecutivo Conte-1 per aderire alla Belt & Road Initiative cinese.

“Diciamo che anche un mantenimento dell’MoU rientrerebbe in una dinamica meno condannabile. Parigi ha adesso meno capitale politico per accusare Roma di essere eccessivamente esposta, anche alla luce di quelle affermazioni del presidente francese. E dunque probabilmente la soluzione migliore è discutere con gli alleati la scelta di mantenere l’accordo, e di evitare dunque scatti in avanti in solitaria come successo in precedenza. Va anche aggiunto che questo governo sta guardando con attenzione all’Asia, per esempio posso testimoniare in prima persona che la presenza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Raisina Dialogue di Nuova Delhi è stata davvero molto apprezzata. E la tempistica è stata ottima, presente alla più importante conferenza indiana nel momento in cui Nuova Delhi voleva dargli rilievo globale”, spiega Fasulo. E dunque: la relazione con la Cina non è più solo bilaterale, ma nel caso specifico dell’Italia e del memorandum, andrebbe fatto un discorso con gli alleati, coinvolgendo subito Washington e Bruxelles e i membri del G7, ma eventualmente anche India e altri Paesi come il Vietnam e il blocco Asean: passaggi a cui Fasulo collega la scelta cinese che l’esecutivo Meloni si trova a prendere.

Sulla Cina, Macron ha messo in difficoltà l’Ue, ma per Roma… Conversazione con Fasulo

Secondo l’analista responsabile del Geoeconomic Center dell’Ispi, la tempistica con cui il presidente francese ha preso posizioni ambigue sul rapporto con Pechino e con Washington, e sul valore di Taiwan, è completamente sbagliata, rischiando di avallare la narrazione di Xi Jinping. Ma per l’Italia si aprono spazi riguardo alla gestione delle relazioni con la Cina

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