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La fotografia scattata dall’associazione di settore Bitkom è allarmante e rappresenta l’ennesimo campanello d’allarme per le economie europee. Nel solo 2024, l’87% delle imprese tedesche ha dichiarato di aver subito almeno un attacco di spionaggio, sabotaggio o furto di dati. Una cifra impressionante che si traduce in un danno economico stimato in 289,2 miliardi di euro, nuovo record assoluto e +8% rispetto all’anno precedente. Il rapporto evidenzia una nuova geografia del rischio e di come il fronte digitale sia ormai la principale arena di confronto tra Stati, servizi segreti e criminalità organizzata.

Quasi la metà delle imprese colpite indica responsabilità dirette o indirette di Russia e Cina, confermando come la competizione geopolitica si sposti sempre più sul terreno cibernetico e industriale. Non sorprende, dunque, che il 28% degli episodi venga attribuito a servizi di intelligence stranieri. Tuttavia, per il 68% delle aziende a colpire sono soprattutto gruppi di cybercrime organizzato, spesso in outsourcing per Stati ostili o comunque inseriti in un contesto di guerra ibrida permanente. La componente più devastante è certamente rappresentata dagli attacchi digitali. L’impatto prodotto, sul piano sistemico, appare devastante: oltre il 70% dei danni (202 miliardi di euro) è direttamente riconducibile a intrusioni informatiche, malware e ransomware.

Proprio il ransomware continua a essere la minaccia più diffusa: un’azienda su tre è rimasta vittima di sistemi di criptazione dei dati, con richieste di riscatto che paralizzano la produttività. La novità è che questi attacchi, grazie all’uso crescente dell’intelligenza artificiale, stanno diventando più rapidi, mirati e difficili da intercettare.

La risposta tedesca sul piano dell’incremento della sicurezza cibernetica come priorità nazionale, non si è fatta attendere. Il monito di Sinan Selen, futuro presidente dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (BfV), ovvero l’agenzia di intelligence interna, è chiaro: l’AI sta diventando “sempre più centrale” negli attacchi informatici e serve un rafforzamento radicale delle capacità di controspionaggio e cyber difesa.

Il BfV sta potenziando personale, tecnologie e capacità operative per fronteggiare una minaccia che non è più episodica, ma strutturale. Parallelamente, le imprese tedesche stanno aumentando gli investimenti: nel 2024 hanno destinato il 18% del budget IT alla cybersicurezza, quasi il doppio rispetto al 2022. Tuttavia, Bitkom e il BSI (Ufficio federale per la sicurezza informatica) raccomandano di portare tale quota almeno al 20%, trasformando la cybersecurity in una leva strategica di resilienza industriale.

Va evidenziato che il caso tedesco non rappresenta un’anomalia, ma piuttosto un campione anticipatore di ciò che si sta verificando in tutta l’Unione europea. Le economie avanzate, basate su manifattura ad alto valore aggiunto, ricerca e innovazione, diventano bersagli naturali per chi cerca di sottrarre proprietà intellettuale, alterare filiere strategiche o condizionare le scelte politiche. Se sei aziende su dieci in Germania dichiarano che la propria sopravvivenza è oggi minacciata da cyberattacchi, il rischio è che interi segmenti produttivi europei possano trovarsi in una condizione di vulnerabilità permanente. Conseguentemente, risulta oltremodo chiaro che lo studio Bitkom non deve essere considerato come un mero bilancio economico delle perdite tedesche, ma rappresenta un indicatore della nuova guerra economica globale, combattuta non più (solo) con dazi e sanzioni, ma attraverso reti invisibili di spionaggio digitale, sabotaggi e ransomware.

Se il cyberspazio è divenuto il nuovo campo di battaglia economica, l’intelligence rappresenta l’arma principale per prevenire, anticipare e neutralizzare le minacce. Gli attacchi subiti dalle aziende tedesche dimostrano come il semplice approccio tecnologico non sia sufficiente: firewall, antivirus e sistemi di detection non bastano di fronte ad avversari che combinano tecniche di cyber intrusion, ingegneria sociale e infiltrazione umana. In questo scenario, i servizi di sicurezza devono focalizzare le attività sui seguenti ambiti:

Primo, la raccolta massiva e continua di informazioni sulle reti criminali e sugli apparati statali ostili che orchestrano campagne di furto tecnologico sviluppando piattaforme di intelligenza artificiale (IA) specifiche in grado di condurre attività di analisi predittiva;

Secondo, mappare le catene di approvvigionamento per individuare punti vulnerabili, spesso sfruttati da insider o da partner esteri poco affidabili;

Terzo, analizzare i Big Data con sistemi di IA in grado di rilevare pattern anomali di comportamento, sia nel traffico di rete sia nelle attività degli utenti interni (User & Entity Behavior Analytics, UEBA);

Quarto, condurre operazioni di “deception” e controinganno, capaci di fuorviare l’attaccante, raccogliere prove e bloccare o rallentare l’esfiltrazione dei dati.

L’elemento umano, purtuttavia, resta decisivo. Il controspionaggio economico-industriale richiede la collaborazione tra imprese, servizi di sicurezza e centri di ricerca. Senza un flusso costante di informazioni, analisi e early warning, le aziende restano bersagli isolati e quindi più facili da colpire.

Come ha ricordato Sinan Selen, il potenziamento dell’agenzia di intelligence non riguarda solo le infrastrutture tecnologiche, ma anche la creazione di una cultura condivisa della sicurezza, capace di trasformare l’intelligence in un asset nazionale al servizio della competitività economica. Di riflesso, anche per l’Europa si tratta di costruire un’infrastruttura comune di cyber difesa e intelligence economica, senza la quale ogni singolo Paese rischia di combattere una battaglia impari.

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