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La Cina dalla poca crescita e dai tanti guai, invecchia. Ed è forse questo il vero problema della seconda economia globale. Serviva un economista del calibro di Cai Fang, per aprire gli occhi al governo di Xi Jinping. Non che a Pechino non fossero consapevoli dell’invecchiamento della popolazione, che dopo il picco di 1,4 miliardi del 2021, è stata superata dall’India. Il che, ha spiegato Fang in un suo recente intervento, è un guaio, forse il più grosso.

“La Cina sta invecchiando rapidamente. Gli ultrasessantacinquenni rappresentano già circa il 15% della popolazione (rispetto al 17% degli Stati Uniti e al 19% del Regno Unito). Entro il 2050, questa cifra potrebbe salire al 30%”, ha scritto Fang in una serie di raccomandazioni che hanno avuto un certo eco sulla rete. “Con un Pil pro capite all’incirca uguale alla media mondiale (13 mila dollari), ciò significa che la Cina è invecchiata prima di diventare ricca”.

Dunque? “Sono necessarie riforme per affrontare questi problemi e ridurre il loro impatto sulla crescita economica della Cina. L’immigrazione come potenziale soluzione ad alcuni di questi problemi viene, come spesso accade in questi dibattiti, scartata a priori e non discussa ulteriormente. Questo perché è vero che la Cina non ha modo di aumentare la sua offerta di lavoro o di risolvere i suoi problemi attraverso l’immigrazione, come fanno gli Stati Uniti”. Allora si può agire sulle pensioni, alzando l’età e riducendo così la spesa pubblica.

“L’innalzamento dell’età pensionabile in Cina (attualmente 60 anni per gli uomini e 50-55 per le donne, ndr) è dato per scontato ormai: non c’è tempo da perdere nell’estendere l’età legale di pensionamento. Bisogna introdurlo e attuarlo il prima possibile”, chiarisce l’economista. Non è finita. Bisogna agire anche sui consumi delle famiglie. I quali “sono ancora troppo bassi (circa il 40% del Pil, contro una media Ocse del 60%, ndr) rispetto ad altri Paesi. C’è quindi ancora un ampio margine di miglioramento. Ciò contribuirebbe a stimolare la crescita economica”.

E infine, terza ricetta, migliorare il capitale umano cinese. “Pechino deve estendere il numero di anni di istruzione obbligatoria di tre anni in ogni direzione. Ciò implicherebbe l’obbligo di istruzione sia dai 15 ai 18 anni sia dai 3 ai 6 anni, estendendo così il sistema scolastico cinese e migliorando la formazione”. Il menu è servito.

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