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Con la decisione presa da alcuni Paesi Nato di mettere a disposizione dell’Esercito ucraino carri armati di produzione occidentale, in un contesto di crescenti timori per un imminente offensiva russa nel Donbass, sono riprese le minacce atomiche del Cremlino.

In occasione delle commemorazioni per la vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado (oggi Volgograd), il 2 febbraio scorso, il presidente Vladimir Putin, criticando l’invio degli ultimi carri da battaglia a Kyiv, ha ammonito i Paesi europei che qualora il conflitto degenerasse in una guerra aperta con la Russia, la risposta di Mosca non si limiterebbe all’impiego di mezzi corazzati. Sebbene non lo abbia affermato esplicitamente, il leader del Cremlino ha lasciato intendere che non avrebbe esitazioni nell’impiegare il proprio arsenale nucleare. Gli ha fatto eco, qualche giorno dopo, il fedelissimo ex primo ministro, oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitrij Medvedev, che nel corso di un’intervista con la giornalista Nadana Fridrikhson e con un tweet sul noto social network, ha ribadito il fatto che qualora gli ucraini attaccassero la Crimea o obiettivi all’interno della Federazione Russa, finanche in profondità, Mosca risponderà in maniera dura e immediata, impiegando qualsiasi arma a sua disposizione. A differenza del Presidente russo, l’ex primo ministro ha espressamente evocato l’applicazione della Dottrina nucleare russa, senza però specificare quale clausola potrebbe essere, eventualmente, attivata.

Ma al di là delle continue minacce lanciate dai vertici del Cremlino, riprese più volte dai media russi, con giornalisti e commentatori tv che propongono persino l’impiego dell’atomica su Berlino o Varsavia, nella realtà i moniti di Putin e Medvedev potrebbero avere una valenza politica decisamente inferiore all’allarme di difesa civile e strategica che, probabilmente, vorrebbero evocare.

Riprendendo la dottrina che enuncia le condizioni di impiego delle armi atomiche russe (Basic Principles of Nuclear Policy of the Russian Federation on Nuclear Deterrence, 2020), citata da Medvedev, queste sono espressamente quattro: il lancio di missili balistici (intercontinentali) o l’impiego di armi nucleari e altre armi di distruzione di massa contro la Russia e i suoi alleati; l’attacco contro infrastrutture critiche, politiche e militari, capace di compromettere le potenzialità di rappresaglia strategica; l’impiego di armi convenzionali in misura tale da minacciare l’esistenza stessa della Federazione. In realtà, l’Ucraina non ha certamente i mezzi – e non è previsto che li possa avere – per poter condurre attacchi di questo tipo e portata sulla Russia. Si potrebbe obiettare con i raid alla base aerea di Engels (Saratov) del dicembre scorso, ma la tipologia dell’attacco – condotto presumibilmente con droni – e l’entità dei danni subiti – due, forse tre, bombardieri danneggiati – non hanno certamente compromesso le capacità strategiche dell’Aeronautica, né tantomeno quelle dell’intero arsenale nucleare russo.

E per quel che riguarda le continue minacce di rappresaglia atomica da scatenare qualora venisse colpita la Crimea o la stessa Federazione Russa, è bene ricordare che gli ucraini hanno oltrepassato più volte queste (presunte) linee rosse: basti ricordare l’attacco al Ponte di Kerch – infrastruttura strategica che collega la Russia alla penisola di Crimea – dello scorso ottobre, o quelli alle basi aeree di Engels e di Ryazan (sud di Mosca).

A questo punto, è bene riflettere su quali possano essere i fini ultimi di queste dichiarazioni. Tenere alto il morale sul fronte interno, sventolando spesso la bandiera della potenza militare russa? Oppure indebolire il fronte esterno, creando fratture nell’Alleanza Atlantica e nell’opinione pubblica dei singoli Paesi Nato sul tema del sostegno politico e militare a Kyiv?

Il Convegno organizzato dall’Istituto di Scienze Sociali e Studi Strategici “Gino Germani” con Formiche.net come media partner, in programma nel pomeriggio del 27 febbraio p.v. in Roma, presso la Casa dell’Aviatore, affronterà queste tematiche, proponendo argomentazioni e interpretazioni sul ruolo e gli effetti della disinformazione e delle misure attive russe in Occidente sui temi della politica estera e di sicurezza atlantica e i rischi di guerra nucleare.

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I moniti di Putin e Medvedev potrebbero avere una valenza politica decisamente inferiore all’allarme di difesa civile e strategica che, probabilmente, vorrebbero evocare. L’analisi di Danilo Secci, ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, analista specializzato in questioni di difesa e sicurezza

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