Skip to main content

Byron Moreno ammise di avere sbagliato, diciassette anni dopo: “Il fallo su Zambrotta era da espulsione”. Non era l’unico episodio che l’arbitro ecuadoriano si vide contestare durante gli ottavi di finale tra Italia e Corea del Sud. Ma nessuno si ricorda l’autore del fallo. Tutti quello del fischietto che non fischiava.

I falli non sono patologie del gioco. La mancata sanzione dell’arbitro, invece, è un elemento che falsa la contesa. Oddio, anche l’arbitro può sbagliare, ma in certi casi l’arbitraggio dovrebbe somigliare più alla certificazione notarile, che non può prevedere errori. In queste settimane convulse che ci porteranno al voto anticipato del 25 settembre vedremo falli a ripetizione. Dobbiamo augurarci che arbitri e guardalinee (e soprattutto i notai delle Istituzioni) non sbaglino troppo e procedano a sanzionare gli errori.

E qualche errore si comincia a vedere, senza provocare orrori nemmeno nei più autorevoli osservatori. Tra i più marchiani emerge – anche senza sanzioni e senza condanne mediatiche – la mutazione genetica della compagine governativa. Attenzione, i ministri sono sempre gli stessi, ma molti non rappresentano più le forze politiche che hanno costituito il grande patto che diede vita al governo Draghi. Tra ministri con portafoglio e senza il M5S aveva indicato 5 ministri (se anche Roberto Cingolani fosse attribuibile politicamente): D’Incà, Dadone, Patuanelli, Di Maio. Tra questi oggi solo Patuanelli – pur contestando il vincolo del secondo mandato – ha dichiarato fedeltà a Conte e quindi al M5S, che si ritrova quindi con una compagine ministeriale ridotta al lumicino.

Forse ancora più clamoroso il caso di Forza Italia. Contava tre ministri – senza portafoglio – come compenso politico al sostegno della maggioranza. Oggi non ne ha più nemmeno uno. Gelmini e Carfagna hanno trovato una casa politica con Calenda. Brunetta sembra mantenere la sua algida solitudine. Lui ministro per sé stesso – e non più ministro di Forza Italia – si è collocato tra quei “migliori” che non avevano bisogno di credenziali politiche. Di fatto tutti e tre sono entrati al governo su indicazione di Forza Italia, ma pur essendo usciti dal partito hanno mantenuto il ruolo e le deleghe. Di certo non rappresentano più Forza Italia al governo. E nel governo chi rappresenta Di Maio? Certamente non più il M5S. Ne è uscito, senza uscire dalla lista dei ministri in carica.

Le dimissioni di un ministro sono quasi sempre affidate alla sensibilità dell’interessato. E alla moral suasion che il Capo dello Stato sa e vuole esercitare. Le deleghe no, sono materia di redistribuzione possibile e di ritiro da parte del capo del governo (soprattutto se si tratta di ministri senza portafoglio).

Quindi se la resistenza al poltronismo degli ex M5S non dovesse calare dovremmo rassegnarci ad avere un governo di fatto diverso da quello che si insediò nel febbraio del 2021. Un governo con gli stessi ministri, nel quale molti di questi ministri “politici” si sono accasati in case politiche diverse. Trasformismo politicamente lecito, non c’è che dire, ma istituzionalmente inaccettabile. Non è stato sempre così. Dal caso di Josefa Idem nel governo Letta al caso di Maurizio Lupi nel governo Renzi scattarono le dimissioni con sostituzione di politici della stessa parte del dimissionario.

Non è normale assistere a queste giravolte senza sentire il fischio dell’arbitro o senza vedere la sbandierata del guardalinee. I parlamentari non hanno vincolo di mandato, ma i vertici amministrativi (ministri, viceministri e sottosegretari) sono figli della legittima lottizzazione. O dovremmo credere che Di Maio o Carfagna sono da considerarsi “Migliori” come Cartabia e Draghi?

L’incoerenza politica è il fallo di gioco, le mancate dimissioni (e la mancata richiesta di dimissioni) sono il fischio dell’arbitro che nessuno ha sentito. Ma nemmeno la stampa – il cane da guardia della democrazia? – ha abbaiato. Piaggeria? Omologazione? Di certo si è aperto un vulnus tutt’altro che irrilevante. I ministri che hanno lasciato i partiti di provenienza continueranno a governare, senza poter contare su un mandato politico obbligatorio in ogni governo di coalizione, specie in uno che nasce come governo di unità nazionale, nel quale ogni forza politica aveva legittimamente indicato i propri referenti.

È diverso fare campagna elettorale nel ruolo di ministro, piuttosto che in quello di ex. E nessuno ha nulla da obiettare? Nessuno intende fischiare? Sono convinto che se ci trovassimo nel caso contrario – ministri che scelgono Forza Italia, abbandonando il Pd per fare un esempio – avremmo assistito a critiche roventi sui media. E avremmo sentito un fischio forte e prolungato. Quello che è mancato in questi giorni.

Le giravolte in politica e il fischio dell'arbitro (che nessuno ha sentito)

In queste settimane convulse che ci porteranno al voto anticipato del 25 settembre vedremo falli a ripetizione. Dobbiamo augurarci che arbitri e guardalinee (e soprattutto i notai delle Istituzioni) non sbaglino troppo e procedano a sanzionare gli errori. E qualche errore si comincia a vedere, senza provocare orrori nemmeno nei più autorevoli osservatori. L’opinione di Antonio Mastrapasqua

Cybersecurity, accordo Polizia-Fondazione ITS Rossellini sulla formazione

L’intesa prevede l’attivazione, a partire già dal prossimo autunno, di un corso sperimentale post diploma della durata biennale, per i professionisti del settore

Quel che resta di Al-Qaeda

Di Dario Cristiani

Un successo operativo, un incasso politico. La morte di Al-Zawahiri, protetto dai talebani, conferma la sconfitta strategica con il ritiro Usa dall’Afghanistan ma anche la straordinaria capacità operativa dell’intelligence americana. Ecco cosa (non) resterà di Al-Qaeda. L’analisi di Dario Cristiani, Iai/Gmf fellow

Il Ddl Concorrenza è legge, ecco cosa cambia. Scrive da Empoli

È stato compiuto senz’altro un passo avanti per facilitare lo sviluppo di una tecnologia chiave come il cloud per la transizione digitale italiana. Con un contributo senz’altro positivo anche a quella ecologica. Un altro modo per far stare l’Italia sui binari del Pnrr che nelle due transizioni ha le principali stelle polari. L’intervento di Stefano da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

Il centrodestra e la coerenza del programma nazionale. La lettura di Ippolito

Mai vi è stata prima di oggi in Italia una compattezza così forte nel centrodestra. E questa solida identità liberale e conservatrice è importante per tutti, perché conferisce bipolarità all’intero sistema. Il commento di Benedetto Ippolito

Indice Desi, l’Italia guadagna posizioni

Di Michelangelo Suigo

La relazione annuale Desi fotografa un’Italia avviata sul percorso della transizione digitale. La partnership pubblico-privato traina la digitalizzazione, ma c’è ancora molto da fare sulla formazione delle competenze digitali e nelle discipline Stem. Il punto di Michelangelo Suigo, direttore Relazioni Esterne, Comunicazione e Sostenibilità di Inwit

 

Senaldi, libero

Il bunker della sinistra si apre anche con una bicamerale. La tattica di Senaldi

Secondo il condirettore di Libero il centrodestra dovrebbe riscrivere le regole assieme al centrosinistra, ad esempio sulla legge elettorale. “Questa volta, dovesse vincere, dovrebbe avere la forza e la maturità di creare un clima di base, cioè di smussare le polemiche con la sinistra”

Travolti da un insolito destino e altri paradossi della cancel culture

Il film più sensuale e marxista della Wertmuller racconta il luogo dove Eros e potere si impastano. Ma oggi chi avrebbe il coraggio di farlo? L’analisi di Chiara Buoncristiani, giornalista e psicoterapeuta

Petrolio, cosa aspettarsi dall'Opec+ (mentre i Patriot arrivano a Riad)

L’Arabia Saudita potrebbe iniziare a intavolare il percorso diplomatico per l’aumento delle forniture di petrolio. Dalla riunione dell’Opec+ non usciranno decisioni drastiche, ma ci sono segnali che fanno pensare a un avvicinamento di Riad alle richieste di Washington (che ricambia con nuove forniture militari)

Maggioranza Quirinale, quali possibili scenari post voto

Secondo i sondaggi e gli ambienti parlamentari per l’esito delle politiche del 25 settembre influirà l’opinione pubblica che ha determinato la maggioranza spontanea dei parlamentari per la rielezione di Mattarella. Gli scenari ipotizzabili sono tre: se vince il centrodestra Giorgia Meloni metterebbe all’angolo Salvini e Berlusconi. Se vince il centrosinistra o si pareggia torna in scena Draghi. L’analisi di Gianfranco D’Anna

×

Iscriviti alla newsletter