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“L’istanza sociale deve farsi Stato”. Così diceva Carlo Donat-Cattin il giorno dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori nel maggio 1970 durante il dibattito in Parlamento. Perché, commentando la più grande conquista politica, culturale e sociale dei lavoratori nella storia democratica del nostro Paese, il “Ministro dei lavoratori” richiamava l’attenzione attorno al caposaldo che sintetizza la migliore tradizione del cattolicesimo sociale italiano. Un filone costitutivo ed essenziale nella storia dello stesso cattolicesimo politico italiano che non è mai tramontato perché continua ad avere una straordinaria attualità anche nella stagione politica contemporanea. Un approccio sociale che non si trasforma mai in una deriva pauperista, assistenzialista e puramente clientelare – come recita il populismo dei 5 Stelle – ma è sempre e solo intrecciato con la cultura dello sviluppo e della crescita. Ovvero, la difesa e la promozione dei ceti popolari, dei ceti più disagiati e dei ceti meno protetti deve sempre essere agganciata ad un progetto che individua nella crescita dell’intero Paese il suo fulcro essenziale. Del resto, se i due aspetti non procedono di pari passo si corre il serio rischio di cadere, appunto, nel pauperismo da un lato – una deriva che oggi riscontriamo nel concreto comportamento dei populisti – e, dall’altro, nella sostanziale incapacità di costruire un progetto di governo in cui tutti si possano riconoscere.

E la peculiarità della sinistra sociale di ispirazione cristiana storicamente è sempre stata quella di partire dalla “questione sociale” per costruire, poi, un concreto progetto politico e di governo. Ed è proprio su questo versante che si gioca la presenza dei cattolici popolari e sociali nella cittadella politica italiana. E la crisi, se non addirittura l’assenza di questa cultura nell’attuale stagione politica italiana è anche il frutto, e la conseguenza, della perdita di credibilità della nostra democrazia. Non è un caso che l’approccio pauperista e la dimensione liberista e tecnocratica sono e restano estranei rispetto al pensiero, alla storia, e alla tradizione del cattolicesimo sociale. E proprio la risposta alla “questione sociale” era, e resta, uno degli elementi costitutivi per costruire un progetto politico di governo. Si tratta, infatti, di una tradizione che continua ad essere un tassello fondamentale per una formazione politica di governo e con una chiara impronta riformista. È appena sufficiente ricordare l’esperienza cinquantennale della Democrazia cristiana e dei partiti che nella cosiddetta seconda repubblica hanno saputo costruire un progetto di governo capace di unire il dato sociale con una prospettiva di sviluppo dell’intero Paese per rendersene conto. Ma questo obiettivo si può realmente percorrere solo se la cultura politica del cattolicesimo sociale ritorna ad essere protagonista abbandonando la sola testimonianza pre politica e puramente intellettuale. Certo, si tratta di un progetto politico che poteva essere declinato da un partito interclassista, democratico, di governo, riformista e di ispirazione cristiana come la Dc.

Oggi la Dc non c’è più e non esistono, purtroppo, partiti che vogliono realmente contare sull’apporto del pensiero e della cultura del cattolicesimo sociale. Né a destra né, soprattutto, a sinistra e tantomeno sul versante centrista. Ma se vogliamo raccogliere un’eredità che resta decisiva per la stessa qualità della nostra democrazia, non possiamo non riscoprire e non rilanciare il filone di pensiero del cattolicesimo sociale. Perché ieri come oggi è necessario, utile ed indispensabile per non trasformare una sempre più minacciosa ed imprevedibile “questione sociale” in una emergenza democratica per l’intero Paese. A livello nazionale come a livello locale.

Cattolici, il progetto politico parta dal sociale. La versione di Merlo

Oggi la Dc non c’è più e non esistono, purtroppo, partiti che vogliono realmente contare sull’apporto del pensiero e della cultura del cattolicesimo sociale. Né a destra né, soprattutto, a sinistra e tantomeno sul versante centrista. Ma se vogliamo raccogliere un’eredità che resta decisiva per la stessa qualità della nostra democrazia, non possiamo non riscoprire e non rilanciare quel filone di pensiero

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