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Solo in Italia, in nessun altro Paese europeo, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha potuto fare un comizio in prima serata della durata di 45 minuti su una rete Mediaset. Si è trattato di un comizio, non di un’intervista, perché il giornalista che gestiva la trasmissione non l’ha interrotto neanche quando ha parlato di Zelensky come di un ebreo nazista.

Nel suo discorso, però, Lavrov ha mandato dei pizzini anche agli amici del partito russo in Italia per risvegliarli, visto che essi si sono eccessivamente acquattati. Da allora, infatti, alcuni di loro sono rientrati in pista.

Matteo Salvini ha cercato di fare il furbo presentandosi sotto le mentite spoglie del pacifismo cattolico stile Bergoglio. Uno che ha sempre esaltato la legittima difesa personale all’improvviso, di fronte all’aggressione di una nazione contro l’altra, è diventato un pacifista in apparenza assoluto, in effetti a senso unico: mentre Putin continua a bombardare, Salvini esprime tutta la sua repulsione nei confronti dell’invio da parte dell’Italia di armi.

La stessa repulsione la sta provando quell’anima sensibile che è Giuseppe Conte. La rappresentazione fatta da Salvini però è stata singolarmente grottesca, la sua imitazione di papa Bergoglio sembra invece quella fatta a un Crozza in pessima giornata.

In effetti Salvini è un putinista in servizio permanente effettivo. Lo è da sempre, da quando affermava che mezzo Putin vale due Mattarella e che si trovava molto più a suo agio a Mosca o a San Pietroburgo che in un’altra capitale europea. Salvini però è stato sfortunato nella scelta dei collaboratori per l’operazione filorussa: prima ha messo in campo il nazista Savoini, adesso l’avvocato delle ambasciate Capuano, le cui precedenti gesta in Campania sono state a suo tempo efficacemente descritte da Nicola Cosentino.

Le coincidenze però sono straordinarie. Nel momento in cui nel Donbass Putin sta scatenando la sua offensiva, da un lato Salvini, dall’altro Conte mettono in questione addirittura l’invio delle armi da parte dell’Italia agli ucraini chiaramente sottoposti a quello che il filosofo Walzer ha chiamato un genocidio culturale.

A questo punto l’onore e la credibilità dell’Italia sono nelle mani di Mario Draghi, ma anche di esponenti politici che si sono espressi in modo chiaro: in primo luogo da un lato Enrico Letta e dal lato opposto Giorgia Meloni. E anche Bonino, Calenda, Renzi e Bersani. Allo stato non sappiamo se il 21 giugno in un impegnativo dibattito in Parlamento quello che è in campo del partito russo lancerà o meno dei missili dai suoi sommergibili.

Per molti aspetti sarà un momento della verità per partiti e movimenti, sarà un momento della verità per il Movimento 5 stelle dove Di Maio sta svolgendo in modo impeccabile il suo ruolo di ministro degli Esteri. Sarà l’ora della verità per la Lega dove al Nord i piccoli imprenditori e gli operai casomai hanno rapporti con le imprese manifatturiere tedesche, non certo con gli oligarchi che da anni, con i soldi rubati in Russia, con il consenso di Putin, stanno comprando in giro per l’Europa leader politici, pezzi di partiti e di imprese, alberghi e ville.

L’Italia è nel mirino perché a Mosca la ritengono, per molteplici ragioni, l’anello debole della catena in Europa e nell‘Occidente. Certamente tutti possono fare i furbi, ma nessuno però può pensare che saranno Putin e Lavrov a coprirci le spalle rispetto agli spread e rispetto alle risorse provenienti dall’Europa che sono decisive per il futuro del Paese.

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