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“Ora tocca a voi. Noi sappiamo per chi non voteremo mai. I francesi sanno cosa fare, sono capaci di decidere cosa devono fare. Non dovete dare un voto a Marine Le Pen”. Con questo invito, Jean-Luc Mélenchon, candidato del partito di sinistra France insoumise, ha messo nero su bianco la sua posizione per il secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. Tra non andare a votare, o votare per Emmanuel Macron, il candidato di sinistra ha lasciato alla coscienza degli elettori la scelta, senza prendere parte in maniera esplicita a favore dell’attuale inquilino del palazzo di governo.

Arrivato terzo nella corsa per l’Eliseo, Mélenchon si è detto soddisfatto del lavoro fatto in questa campagna elettorale: “La vita continua, la battaglia continua”. Saranno i suoi elettorali quindi l’ago della bilancia nel ballottaggio tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron? Per il quotidiano Le Monde, Mélenchon farà da “arbitro”, dato il peso dei suoi voti e l’appello per un “voto di sbarramento contro Le Pen”.

Mélenchon ha ottenuto un numero di voti significativo in diverse città bastioni storici della sinistra, e in particolare nella periferia di Parigi. Ha ottenuto il 61,13% dei voti a Saint-Denis, 17 punti percentuali in più rispetto al 2017. A Montreuil, ha ottenuto il 55,35% dei voti e a Bobigny, il 60%. A Ile-Saint-Denis, invece, è arrivato al 62%.

Un grafico ripreso dall’account Twitter di YouTrend, il magazine digitale di AgenziaQuorum, da Ipsos France, sostiene che Mélenchon è il candidato più votato nella fascia 18-34 anni, mentre Le Pen è la preferita tra coloro che hanno tra i 35 e i 59 anni e Macron dagli over 60.

“Non sono una grande fan della persona, ma del suo programma di governo”, ha raccontato una ragazza di 37 anni all’agenzia Afp durante un comizio elettorale di Mélenchon a Parigi alla fine di marzo. All’evento erano presenti più di 100.000 persone, la maggioranza giovani.

La proposta di Melénchon si presentava come un’alternativa per allontanarsi dall’“allucinazione neoliberale, rompendo economicamente con il sistema pazzo che vuole trasformare tutto in merce”. Con un programma molto più solido e lavorato rispetto a quelli presentati nelle elezioni precedenti, Mélenchon ha cercato di ammorbidire la sua immagine radicale e il carattere irascibile, che tante critiche hanno provocato.

Lucile Schmid, vicepresidente del think tank La Fabrique écologique, sostiene che il successo elettorale di Mélenchon risiede nella popolarità tra le forze progressiste del Paese, e perché “sono anni che lavora nel suo progetto, e ha saputo parlare di ecologia popolare, dando una certa profondità storica al suo discorso”.

Infatti, pianificazione ecologica, una riforma costituzionale per una Repubblica meno verticale e più partecipativa, e la sfida di “creolizzazione”, definizione dello scrittore Édouard Glissant sulla coesistenza di culture diverse in un unico territorio per creare una nuova identità, sono stati i punti proposti da Melénchon che più hanno conquistato i giovani elettori francesi.

Gli analisti hanno individuato due fattori che hanno giocato a favore di Melénchon: la mobilitazione dell’elettorato astensionista e il voto utile progressista. Si stima che molti elettori che tradizionalmente non votano si sono recati alle urne per scegliere il leader di France insoumise, e molti di questi sono giovani.

Tuttavia, pesa il rifiuto in un’ampia fascia di ambientalisti e socialisti. Secondo il monitoraggio di Ipsos, gli elettori di Yannick Jadot e Anne Hidalgo preferiscono Macron rispetto a Mélenchon.

Nato a Tangeri, Marocco, nel 1951, Mélenchon è stato militante trotskista da giovane. È stato membro del Partito Socialista per 30 anni e senatore e ministro per la Formazione professionale. Nel 2012 ha ottenuto circa l’11% dei voti alle elezioni presidenziali e nel 2017 fondò France insoumise.

Il quotidiano Le Figaro lo definì “il Chávez francese” quando elogiò il progetto politico del presidente venezuelano come “punta di lancia” per un nuovo ciclo in America latina e per la vittoria delle rivoluzioni compiute dai cittadini.

Come Le Pen, Mélenchon voleva posizionarsi come difensore del potere di acquisto della classe popolare, di fronte a Macron, che chiama “il Presidente dei ricchi”. Con l’ombra minacciosa dell’inflazione, aveva proposto l’anticipazione delle pensioni a 60 anni e l’aumento dello stipendio minimo.

E sulla politica estera aveva messo sul tavolo l’opzione di uscire dalla Nato per privilegiare un altro tipo di alleanze e abbandonare i trattati che bloccavano gli obiettivi del suo programma di governo.

Per il giornalista Stefano Cappellini, capo della redazione politica di Repubblica, il vero fenomeno di queste elezioni è Mélenchon, che ha raggiunto il 21,9% dei consensi e ha mancato il ballottaggio con Macron per un solo punto e mezzo.

Su Twitter ha spiegato che a Mélenchon è andato parte importante del consenso dei due storici partiti della sinistra: “I socialisti praticamente estinti e i comunisti del Pcf che nel 2022 si prendono l’inutile soddisfazione di tornare avanti agli eredi di Mitterand, come fu a lungo nel 2° dopoguerra”.

Cappellini rileva che secondo alcuni sondaggisti francesi “la quota di elettori di Mélenchon che potrebbero votare Le Pen al secondo turno è stavolta potenzialmente di 1 su 3. Bisognerà ora vedere quanti di questi saranno scoraggiati dalla nettezza del no a Le Pen”.

Se da un lato Mélenchon copre il vuoto d’una sinistra riformista totalmente scollata dai ceti popolari, dall’altro il suo elettorato ha una carica anti-sistema che può spingere a preferire la postfascista Le Pen a Macron.

“Anche per questo il ballottaggio francese ha un valore altissimo – conclude Cappellini -. Se l’elettorato di Mélenchon contribuisce ad arginare Le Pen, fermerà anche la deriva verso un bi-populismo che rischia di saldare (come già in Italia) sovranisti di ultradestra e orfani della sinistra”.

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