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È caduto il governo! Evviva il governo! Il prossimo ovviamente. Si perché in Italia non è nemmeno così tanto strano che si avvicendino più governi nella stessa legislatura. In effetti, in tutta la storia repubblicana (circa 77 anni) si sono alternati ben 67 esecutivi e 30 presidenti degli stessi. Diciamo quindi che stiamo di poco sotto la media di un governo l’anno. Nello stesso periodo, in Inghilterra i primi ministri sono stati appena 15 (espressione però di più governi dello stesso colore come sta avvenendo adesso con i conservatori), 9 presidenti della Repubblica in Francia (ciò a causa anche della lunga stagione gollista) e altrettanti sono stati i cancellieri tedeschi.

L’elenco potrebbe andare avanti a lungo citando altre democrazie consolidate ma è fin troppo evidente che l’Italia rappresenti un unicum in questo scenario frutto di una architettura costituzionale fin troppo permissiva, al punto da favorire l’ingovernabilità in luogo della stabilità, e di un sistema dei partiti che storicamente ha saputo approfittare di questa debolezza istituzionale. Ebbene, dicevamo, ciò che sorprende stavolta non è tanto l’ennesimo cambio di governo, né che questo sia avvenuto in uno dei più delicati (e ultimamente frequenti) momenti storici, quanto il fatto che – salvo narrazioni alternative – l’esecutivo sia stato di fatto sfiduciato non da chi aveva avanzato tale ipotesi ma da chi si era inizialmente reso disponibile a sostenerlo, sebbene in una composizione diversa.

A questo punto, secondo tutti i più accreditati sondaggi (e non solo) la coalizione di centrodestra dovrebbe sbaragliare gli avversari che si affrettano ora a contrapporsi in una o più coalizioni per evitare quello che sembra un “cappotto” annunciato. Tutto troppo scontato verrebbe da dire, per non aspettarsi delle sorprese, un po’ come avvenne alle politiche del 2006. Tuttavia, ciò che realmente sorprende a nemmeno una settimana dall’avvio della campagna elettorale di fatto è che, mentre al centro e a sinistra sono ancora in alto mare, nel centrodestra già discutono su chi dovrebbe andare a Palazzo Chigi (evidentemente sono ben poco scaramantici).

Da una parte Giorgia Meloni che, dopo una vita all’opposizione, in quanto potenziale primo partito della coalizione ritiene di dover guidare l’esecutivo, dall’altra gli altri due alleati che sono disposti a “sommarsi” nella speranza di avere il famoso voto in più per essere loro a dare le carte. Insomma, sembrerebbe che già oggi non vi sia piena sintonia anche se un dubbio più sinistro si insinua: e se fosse che né Salvini né Berlusconi gradiscano più di tanto vedere Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, sopportandola più che supportandola? Di certo, non disdegnano i suoi voti per vincere le elezioni, ma da qui ad accettare di accodarsi sulle principali scelte politiche ce ne passa e in un tale ambiente le incomprensioni post elezioni sono in sempre in agguato, con le relative insidie.

Insomma, se la strada per il 68° governo sembra spianata, con queste premesse all’orizzonte già si intravede il 69°, nella migliore tradizione italiana. Sotto a chi tocca!

Meloni a Palazzo Chigi? Occhio a Berlusconi e Salvini

Sembrerebbe che già oggi non vi sia piena sintonia anche se un dubbio più sinistro si insinua: e se fosse che né Salvini né Berlusconi gradiscano più di tanto vedere Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, sopportandola più che supportandola?

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