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“L’ignoranza è la forma di conoscenza più diffusa”.

Edo Boncinelli

 

Il grande tema della disinformazione scientifica è un virus endemico, che non conosce confini, contro il quale si combatte una battaglia ad armi spesso impari da molto tempo. Certamente, l’attuale pandemia che due anni fa ha investito il pianeta modificando equilibri e paradigmi, lo ha nutrito ed infiammato, massimizzandone le manifestazioni e le relative conseguenze.

Andrà tutto bene, dicevano. Ne usciremo migliori, dicevano. Ma è andata davvero così? Ventiquattro mesi di vita ridisegnata da meccanismi, non sempre coerenti, di gestione della salute pubblica, di equilibri socio-economici e politici, di relazioni fra Paesi, hanno davvero consegnato al mondo la parte più virtuosa di ciascuno di noi? Naturalmente, ed è sotto gli occhi di tutti, molti, anzi, moltissimi sono stati gli esempi di sacrificio, solidarietà e generosa umanità: basti pensare al modo in cui la stragrande maggioranza dei sanitari hanno saputo – e tutt’ora sanno – rendere omaggio al significato profondo di una professione al servizio del prossimo. È tuttavia innegabile, però, che nello stesso tempo si siano create grandi fratture, e fra queste, enorme, quella che si è aperta nel rapporto fra scienza e opinione pubblica.

Da tempo, una certa narrativa ha abituato una larga parte del mondo a pensarsi come immerso nella ‘società della conoscenza’, quella ‘Knowledge society’ che, come da definizione Treccani “… fonda la propria crescita e competitività sul sapere, la ricerca e l’innovazione”. A nostre spese, invece, abbiamo scoperto che è invece più facile e lucroso diffondere l’ignoranza. I meccanismi con cui questa viene prodotta e alimentata sono stati ben descritti dagli storici della scienza Robert N. Proctor e Londa Schiebinger, autori del libro “Agnotology – The making and unmaking of ignorance”.

Il grande caos di opinione generato dal COVID-19 ha reso irriconoscibili i nessi di causa ed effetto fra il modo in cui la realtà viene raccontata e le scelte del singolo riguardo alla propria salute.

I ricercatori del Center for Health Security presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health hanno recentemente stimato che una quota compresa fra i 2 e i 12 milioni di persone negli Stati Uniti non si sono vaccinate contro COVID-19 a causa di mancata informazione o di disinformazione. E un sondaggio Axios-Ipsos su un campione di un migliaio di cittadini americani condotto nel marzo 2021 ha rilevato che un pesante 15% riteneva vere alcune fra le false informazioni sui vaccini più diffuse, come ad esempio quella del microchip inoculato sottopelle allo scopo di tracciare le persone.

Difficile prevedere gli effetti del ‘Long Covid’ sul livello di fiducia nella scienza e nelle informazioni sulla salute pubblica. La comunicazione globalizzata, che è certamente una grande conquista del nostro tempo, ha un pesante rovescio della medaglia e una capacità di ‘intossicare’ il dibattito pubblico praticamente inarrestabile.

A volte, l’urgenza di ‘comunicare’ ha spinto sotto i riflettori, spesso prematuramente, il lavoro di molti ricercatori, le loro pubblicazioni, le loro collaborazioni. Altre volte, la possibilità di accorciare le distanze è stata salvifica, come nel caso di Eddie Holmes – virologo dell’Università di Sydney – che l’11 Gennaio 2020, lanciava un tweet epocale: “La sequenza del coronavirus associato alla polmonite virale di Wuhan è disponibile online su…”. Dal quel giorno è cambiato tutto su questa nuova malattia: biologia, test, vaccini, farmaci. Abbiamo avuto tutto, subito, senza attendere verifiche, validazioni, pubblicazioni. Abbiamo guadagnato tempo, fatto passi enormi: esempio eccellente di sana informazione e divulgazione della conoscenza che è stato anche giustamente premiato dalla comunità scientifica.

Che sia la scienza al servizio della comunicazione, o viceversa, ciò che appare chiaro è che vi sia necessità di una regolamentazione nei processi con cui le informazioni vengono diffuse.

I mass media hanno bisogno di scienziati comunicatori, capaci di interpretare, di fornire le coordinate per orientarsi in un percorso non lineare. E nel contempo, molti scienziati si sono trasformati in comunicatori che continuano a vedere gli ambienti di comunicazione, spesso quelli online, principalmente come strumenti per risolvere le asimmetrie informative tra esperti e pubblico laico. Di conseguenza, sono attivi e prolifici con l’intento di diffondere conoscenza e promuovere l’entusiasmo per la scienza.

Il rapido accesso alla letteratura scientifica attraverso i server di prestampa ha esacerbato il problema: i preprint sono una versione di un articolo scientifico che spesso non è stato sottoposto a revisione paritaria da una rivista scientifica. Progettati per rendere la scienza più trasparente e massimizzare il potenziale correttivo della scienza, sono emersi come uno dei principali motori della copertura mediatica episodica della scienza a studio singolo. Soprattutto durante la pandemia di COVID-19, le conversazioni sui singoli preprint non sottoposti a revisione paritaria hanno reso difficile estrarre segnali significativi su prove scientifiche affidabili e cumulative dal rumore di risultati a volte di breve durata. Spesso sono stati utilizzati come prova sufficiente per supportare l’annuncio di uno scienziato rispetto a determinati farmaci, o comportamenti da adottare, salvo poi rivelarsi sbagliati, se non dannosi nell’immediato e negli effetti a lungo termine nella percezione pubblica della scienza come un modo affidabile di comprendere il mondo. Senza una drastica inversione di rotta rischiamo di creare un futuro in cui le dinamiche dei sistemi di comunicazione online hanno un impatto più forte sull’opinione pubblica sulla scienza rispetto alla ricerca specifica che gli scienziati stanno cercando di comunicare.

La logica scientifica e l’accesso all’informazione sono due dei principali fondamenti delle democrazie illuminate. Le distorsioni in qualsiasi parte di questo delicato rapporto porteranno inevitabilmente alla caduta dell’intero sistema. E allora, cosa fare? Per vincere questa sfida servirà una stretta collaborazione tra la comunità scientifica, il mondo della comunicazione e le istituzioni democratiche, che potrebbe mettere in campo azioni quali:

  1. Incremento dell’alfabetizzazione scientifica del grande pubblico in maniera coordinata, anche attraverso le Società Scientifiche, che dovrebbero svolgere un ruolo più attivo ed incisivo
  2. Una formazione specifica rivolta agli scienziati-divulgatori, anche attraverso il potenziamento delle strutture di comunicazione delle università.
  3. Uno stimolo agli editori delle riviste scientifiche affinché prevedano una versione sintetica e fruibile degli articoli scientifici
  4. Una spinta al meccanismo open-access alle riviste mediante l’accesso alle biblioteche e il sostegno finanziario ai giovani per il costo delle pubblicazioni

Ciò che non va messo mai fuori fuoco è lo scopo ultimo della ricerca scientifica: non solo acquisire nuove conoscenze, ma anche di utilizzarle a vantaggio di tutti i settori della società.  La scienza non deve fare paura. L’ignoranza, quella sì.

Così combattiamo la disinformazione scientifica ai tempi del Covid-19

Di Giuseppe Novelli e Francesca Zedda

La logica scientifica e l’accesso all’informazione sono due dei principali fondamenti delle democrazie illuminate. Le distorsioni in qualsiasi parte di questo delicato rapporto porteranno inevitabilmente alla caduta dell’intero sistema. E allora, cosa fare? Le quattro proposte di Giuseppe Novelli (Università di Roma – Tor Vergata) e Francesca Zedda (Cnr)

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