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L’Europa si trova a fare i conti con la necessità di rivedere le proprie priorità di difesa, specialmente nell’ottica di assumersi maggiore responsabilità per la sicurezza del continente di fronte alla prospettiva di un disimpegno statunitense. Mentre la Commissione europea presenta un ambizioso piano di riarmo da 800 miliardi di euro, il vincitore delle elezioni tedesche, il cristian-democratico Friedrich Merz, annuncia che la Germania farà ricorso a “whatever it takes”, incluso l’indebitamento, per sostenere le proprie spese militari. Questo rappresenta una svolta inedita per la Germania, che negli anni si era erta a paladina dell’austerità sui conti pubblici in Europa. Sul significato di questi sviluppi, soprattutto rispetto al più ampio tema della difesa europea, Formiche.net ne ha parlato con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa.

Generale, persino la Germania, che storicamente ci ha abituati a un certo rigore nei conti pubblici, adesso pare decisa a non fermarsi neanche davanti all’indebitamento pur di finanziare il proprio riarmo. Cosa significa questo, anche per gli altri Paesi europei?

È chiaro che gli europei devono rendersi conto che bisogna diventare adulti. E per diventare adulti bisogna avere delle capacità. Tuttavia, vorrei evidenziare che, prima di parlare di soldi, bisogna sapere come si spenderanno questi soldi. Altrimenti stiamo parlando di futilità. Dobbiamo chiederci: “Abbiamo una capacità militare sufficiente?”; “Quali sono le cose che ci servono?”; “Cosa ci manca?”; “Quanto costa ciò che ci manca?”. Solo una volta che si è risposto a queste domande possiamo parlare del relativo fabbisogno finanziario. Parlare di soldi prima di sapere come si vogliono spendere può essere evocativo per l’opinione pubblica, ma non è granché razionale. 

Dunque, cosa ci dice l’improvvisa preoccupazione di Berlino? 

Con ogni evidenza quella tedesca è una preoccupazione basata sui fatti. Quello che sta accadendo, il cambiamento degli allineamenti politici in un Paese come la Germania, ci dice che le cose devono essere affrontate con concretezza. Io sono abbastanza fiducioso perché vedo delle significative prese di posizione in Gran Bretagna, in Francia — adesso in Germania —, oltre ovviamente ai Baltici e alla Polonia, che sono tutti ben orientati da questo punto di vista. 

Alla luce di ciò, ritiene che le Forze armate europee sarebbero in grado di operare congiuntamente?

Oggi le Forze armate dei singoli Paesi europei, dopo decenni di operazioni fianco a fianco nell’ambito della Nato e di coalizioni varie, sono perfettamente in grado di lavorare insieme. Il problema è la catena di comando e controllo. Questo, semmai, è uno dei primi problemi da affrontare. Oggi abbiamo un’Alleanza Atlantica che, non avendo un suo esercito, impiega le Forze armate che i singoli Paesi mettono a disposizione della Nato — secondo procedure di trasferimento d’autorità — per le sue esigenze addestrative e operative. Il tutto sotto una catena di comando e controllo molto sofisticata. Mi riferisco a SHAPE (il Comando supremo delle forze alleate in Europa, ndr), con tutte le sue articolazioni regionali e funzionali coordina queste forze multinazionali. 

Sarebbe possibile replicare questa struttura di comando in ambito europeo?

Questa catena di comando e controllo impiega circa 18mila unità tra ufficiali e sottufficiali ed è una cosa che non si può replicare nell’arco di pochi giorni. Bisogna costruirla. Nel momento in cui l’Unione europea avrà a disposizione una simile catena di comando e controllo, a questo punto avrà le capacità operative che le servono per condurre certe operazioni. È ovvio che ci sono delle carenze operative nel campo della sorveglianza, dell’intelligence, della difesa antiaerea — tutte cose a cui bisognerà ovviare — , ma la prima cosa da fare è definire chi comanda. È necessario che a monte ci sia una dirigenza politica che decida cosa fare, lasciando perdere il concetto di voto unanime, che è l’antitesi dell’operatività in tempo di crisi. Una volta trovata la quadra politica su questo, e nell’attesa di vedere realizzato un vero e proprio Quartier Generale Strategico Europeo, si potrebbero ridurre ulteriormente i tempi selezionando un Quartier Generale nazionale che, opportunamente adattato con staff proveniente da tutti i Paesi, funga da primo terreno di prova per questo tipo di coordinamento. Dunque, definiamo quello che serve, stabiliamo chi comanda e poi pensiamo a come finanziare il tutto. È uno schema elementare, anche se la sua concretizzazione è lungi dall’essere elementare.  

Prima dei fondi per la difesa, serve un Quartier generale europeo. Parla Camporini

Nel momento in cui l’Europa si interroga sul proprio futuro, la Germania rompe gli indugi e apre all’indebitamento per rafforzare la difesa. Mentre prosegue il dibattito sulle spese militari, ci si interroga su quanto siano concrete le possibilità di un coordinamento tra gli eserciti europei. L’intervista di Formiche.net al generale Vincenzo Camporini

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