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Altro che che soluzione politica in progressiva composizione, la strada che conduce al Quirinale è ancora lunga e piena di ostacoli. Per iniziare a intravedere un barlume di luce bisognerà attendere ancora, almeno fin quando Silvio Berlusconi non renderà note le sue intenzioni, se proseguire sottotraccia, andare alla conta in aula oppure rinunciare ed eventualmente a quali condizioni e con quali modalità.

A quel punto e non prima il quadro inizierà, seppur solo relativamente, a chiarirsi, come ha affermato in questa conversazione con Formiche.net Lina Palmerini, firma e notista politica del Sole 24 Ore. Secondo la giornalista, tutti gli scenari tratteggiati dai quotidiani rimangono ancora sul tavolo, persino le elezioni anticipate, in assoluto certo non l’ipotesi più probabile, ma comunque possibile specie nel caso in cui si scivolasse per inerzia, senza una precisa regia politica, verso l’elezione al Colle dell’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi.

Il piano si è ormai inesorabilmente inclinato a favore di Draghi?

Onestamente non credo si possa già dire una cosa del genere. A mio avviso siamo ancora lontani dalle battute conclusive, anche se siamo arrivati a una tappa che certamente è importante.

Quale tappa?

Quella in cui Matteo Salvini prova ad archiviare la candidatura di Silvio Berlusconi. Che il leader della Lega affermi di avere la responsabilità di proporre un nome condiviso e convincente, sembra confermare chiaramente questa interpretazione.

E Berlusconi cosa farà?

La questione è esattamente questa: cosa deciderà di fare il presidente di Forza Italia. Se sceglierà autonomamente di ritirarsi, se al contrario insisterà e, soprattutto, come si porrà rispetto al piano B che Salvini si è incaricato di proporre. Non facciamola troppo semplice.

In che senso?

Se anche Berlusconi decidesse di fare un passo indietro, e non è affatto scontato che ciò accada, bisognerebbe comunque trovare una possibile sintesi su un nome alternativo condiviso. Con Forza Italia e pure con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

Le ipotesi che circolano in questi giorni potrebbero rappresentare una buona base di partenza?

Se allude ai nomi citati in queste ore dai quotidiani – vedi Marcello Pera, Maria Elisabetta Casellati o Letizia Moratti -, non è certamente così facile che Berlusconi possa appoggiarli.

Per quale motivo?

Immagino che Berlusconi possa avere qualche remora, che possa considerare la sua candidatura più forte. E’ probabile che accetti di ritirarsi solo di fronte a un nome che lui stesso ritenga di peso uguale al suo.

Un nome non necessariamente di centrodestra, giusto?

Esattamente, anche se non è facile capire quale.

Ma la soluzione di centrodestra è davvero realistica secondo lei?

Direi tecnicamente possibile, ma sicuramente non semplice.

Perché?

Appunto per la difficoltà di individuare una soluzione unitaria, ma anche per ragioni di carattere puramente numerico. Il centrodestra oggi può contare su 418 parlamentari cui aggiungere i 33 delegati regionali. Dunque, 451 grandi elettori. Per arrivare alla maggioranza assoluta di 505 richiesta dalla quarta votazione in poi ne mancano parecchi, anche laddove riuscissero ad accordarsi con Matteo Renzi e Italia Viva che possono vantare 45 tra deputati e senatori. Il tutto, ovviamente, al netto dei franchi tiratori.

Una strada che appare quindi chiaramente in salita. E’ così?

Innegabilmente sì, senza contare il bivio cui il centrodestra si troverebbe di fronte nel caso in cui Berlusconi decidesse di fare un passo indietro.

Che bivio?

Da un lato fare l’accordo con Enrico Letta e tutto il centrosinistra, dall’altro soltanto con Italia Viva e con pezzi di gruppo misto o del Pd.

Li abbiamo nominati: Letta e Salvini. Possiamo dire almeno che rispetto alla scorsa settimana abbiamo trovato i due kingmaker di questa elezione? O sarebbe meglio dire aspiranti kingmaker?

La seconda che ha detto. Il kingmager si vede alla fine, è tale solo se è in grado di far passare il proprio nome o, comunque, di mettere la trattativa sul binario più giusto. Al momento, ci sono ancora diversi passaggi intermedi da svolgere: stavolta la partita è più complicata perché inevitabilmente si estende pure a Palazzo Chigi.

Ecco, è questo l’aspetto che complica maggiormente la candidatura di Draghi?

Proporre Draghi vuol dire avere una proposta pronta anche per il governo. E non è semplice, per niente. A maggior ragione in un anno elettorale nel quale ciascun partito avrà naturalmente l’esigenza di distinguersi dagli altri e di disegnare meglio il proprio profilo identitario.

I margini per un governo diverso dall’attuale sono molto ristretti, non è così?

Non sarà affatto facile arrivarci, soprattutto nel caso in cui si propenda per un governo politico. Secondo quale formula nascerebbe? Chi lo lo potrebbe guidare? E quali partiti ne farebbero parte?

Domande fondamentali, che però rimangono al momento senza risposta. E’ qui la vera questione?

Il tema è assolutamente questo, soprattutto di fronte a un Parlamento che non vuole in alcun modo le urne. A meno che i leader, Salvini in testa, non decidano che si possa anticipare il voto.

E’ eccessivo dire dunque che l’eventuale voto a favore di Draghi da parte dei parlamentari in realtà riguarderebbe due nomi? Appunto, quello del Presidente del Consiglio per il Quirinale e quello del suo successore per Palazzo Chigi?

Indubbiamente è così. In quel caso servirebbero due soluzioni politiche: una per il Colle e l’altra per l’esecutivo. Sempreché si riesca a trovare la formula politica, che vuol dire non solo il nome del successore di Draghi ma anche il necessario equilibrio tra i partiti che sosterrebbero il nascente esecutivo.

Altrimenti?

Altrimenti, se venisse eletto Draghi al Quirinale ma non si trovasse questo equilibrio tra le forze politiche, non si potrebbe escludere alcuna possibilità. Neppure quella di un ritorno alle urne.

Palmerini, abbiamo iniziato questa conversazione parlando di centrodestra, di Salvini, di Berlusconi. Dobbiamo aspettarci che la soluzione arrivi da quell’area politica?

Non è scontato che sia così, semplicemente il centrodestra sta rivendicando il diritto di assumere l’iniziativa. E’ come se si fossero auto-attribuiti il ruolo di guida di questa elezione. Ma ciò non significa che ne siano capaci, che ci riusciranno.

Dall’altra parte, invece, sembra che abbiano completamente abdicato a questo ruolo. Ad esempio i cinquestelle, che appaiono fortemente divisi al loro interno. Condivide?

In realtà, non sono così convinta che al momento del voto i cinquestelle si facciano trovare così spaccati al loro interno. Questo discorso ha un senso se parliamo della linea politica del Movimento, ma in questo caso è diverso. In fondo, il mastice che li tiene e, credo, li terrà uniti è l’esigenza condivisa di far proseguire la legislatura.

Significa che il movimento rimarrà unito in questo frangente?

Penso di sì, credo che finiranno per compattarsi sulla soluzione maggiormente in grado di garantirgli la prosecuzione della legislatura. Non è un caso, da questo punto di vista, che l’unico nome finora uscito dall’universo dei cinquestelle sia quello di Sergio Mattarella. In assoluto, l’opzione che consentirebbe di più di mantenere l’attuale status quo e di rinviare pertanto il problema al prossimo Parlamento.

Il Pd invece ormai, anche alla luce della direzione di domenica scorsa, può essere quasi ufficialmente considerato a favore di Draghi?

Personalmente non credo sia necessariamente quella l’interpretazione da dare alla nota che hanno diffuso nei giorni scorsi. Anzi, ci sono diverse correnti del Pd contrarie a uno scenario di questo tipo.

E Letta?

Mi pare che il principale interesse del segretario Pd sia riuscire a tenere saldamente nelle sue mani il pallino delle trattative con l’altra parte. Il vero rischio che corre è di essere scavalcato o addirittura escluso. La sconfitta per Letta sarebbe un Capo dello Stato scelto dal centrodestra insieme a Matteo Renzi e a qualche corrente del partito non allineata alle sue indicazioni. Ergo, deve fare di tutto per rimanere in partita.

Ma in che modo? Con un nome trasversale come potrebbero essere quelli di Draghi o Giuliano Amato oppure anche con un nome di centrodestra diverso da Berlusconi?

Questa seconda ipotesi mi pare complicata, non credo Letta possa spingersi là dove è già arrivato Renzi, che ha aperto alla possibilità di votare un nome di centrodestra diverso da Berlusconi. Il leader di Italia Viva ha buon gioco nel farlo, visto che deve rivendicare la sua centralità nel panorama politico: come in quest’anno ha continuato a ripetere di aver portato Draghi a Palazzo Chigi, allo stesso modo vuole poter dimostrare il suo peso decisivo una volta che sarà stato eletto il nuovo Capo dello Stato.

Un punto verso cui non può spingersi Letta?

Direi proprio di no. Potrà uscire vincente solo se riuscirà a chiudere un accordo su un nome che non sia smaccatamente di centrodestra, ma più trasversale. Come quelli che abbiamo citato.

Anche Amato quindi?

Sì, è da considerare senz’altro. Non è un caso che sia stato uno dei candidati del centrodestra già ai tempi di Giorgio Napolitano e Mattarella: un nome al tempo sostenuto soprattutto dai berlusconiani, ma ovviamente visto con favore pure nel Partito Democratico. Può essere certamente un nome.

Palmerini

La strada di Draghi verso il Colle non è (ancora) in discesa, secondo Palmerini

Conversazione con Lina Palmerini, firma e notista politica del Sole 24 Ore: “Siamo ancora nella fase in cui Salvini sta cercando di archiviare la candidatura di Berlusconi”. Draghi? “Proporlo vuol dire avere una proposta pronta anche per il governo”. M5S? “Si compatterà sull’esigenza di non anticipare la fine della legislatura”

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