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Strappare lungo i bordi”, la serie evento di Netflix realizzata da Zerocalcare, ha monopolizzato come non avveniva da tempo il dibattito sui social italiani.

È il primo segnale della spontaneità di un’affermazione decretata dal basso che ha colto di sorpresa il dominante oligopolio dei centri di produzione che dominano il mercato, non solo in Italia.

Dal cinema alla televisione, passando per il teatro (come per il recente Macbeth di Davide Livermore), essi decidono ex-ante cosa “dovrà” avere successo e grazie alla complicità di un mainstream troppo timido, tacciono ex-post quando questo non si avvera. Con buona pace del diritto di informazione e di critica.

Zerocalcare si è invece imposto oltre ogni previsione, dimostrando di avere un pubblico che va ben oltre il suo classico zoccolo duro di ex-giovani alternativi apatici per attingere a man basse da insospettabili settori tradizionalisti da “contenitore-televisivo-domenicale”, resi più disincantati ed introversi dalla pandemia.

A non sorprendere, piuttosto, è che questo successo sia stato ricondotto nel solito tritacarne dello scontro destra-sinistra di un Paese concentrato su se stesso, in perenne campagna elettorale e ossessionato a raccontare il tatticismo quotidiano di un continuo “microdietroscenismo” politico locale da addetti al settore.

È stata riproposta da parte dei critici nostrani la questione secondaria e fuorviante dell’uso del romanesco, dando vita ad una vecchia e ritrita discussione, noncurante dei numerosi precedenti da Andrea Camilleri a Carlo Emilio Gadda a dimostrare la possibile armonia tra produzione culturale e dialetto regionale.

Per converso, si è di nuovo persa l’opportunità di cogliere il potenziale geo-politico internazionale che può avere il fumetto italiano al pari di altri nostri prodotti “pop” da esportazione, primo tra tutti la musica.

Come della tournée negli Usa dei Maneskin interessano solo gossip da rotocalco, cosi il polemizzare sul dialetto di Zerocalcare impedisce di capirne la capacità di promuovere il contesto nazionale in cui viene concepito e di esercitare un soft-power, ostinatamente ignorato in patria.

La forza che hanno questi prodotti di successo internazionale è di essere in parte portatori di codici culturali nostrani; in parte contenitori dei contenuti locali dei paesi in cui vengono esportati. Acquistando dimensioni e significati separati che prendono vita autonoma.

Ascoltato in lingua inglese con uno spiccato accento british, Zerocalcare si inserisce perfettamente in una tradizione di fumetti sarcastici di satira sociale anglosassone pensati per un pubblico adulto in fuga da manipolazioni e retoriche del pensiero unico dominante. Che ricorre all’escamotage di fare dire ai personaggi di un fumetto concetti al limite del politicamente scorretto, altrimenti impronunciabili da un attore in carne ed ossa.

Per non dire dei significati aggiuntivi che proprio nel contesto americano suscita la scelta di dare alla coscienza del protagonista della serie in oggetto le sembianze di un armadillo, animale per eccellenza simbolo della profonda frontiera desertica statunitense.

Un simile sdoppiamento del percorso di successo tra dimensione nazionale ed estera ha riguardato in passato un altro storico fumetto cult italiano come Alan Ford, creato nel 1969 dagli italianissimi Max Bunker e Magnus (all’anagrafe Luciano Secchi e Roberto Raviola) che diventò un oggetto di culto nell’ex Jugoslavia di Tito, lasciando un impatto duraturo nell’immaginario collettivo dei Paesi che le sono succeduti, tanto da essere considerato un mito “unificante” dell’area.

Il biondo Alan Ford e gli altri scalcagnati membri del Gruppo TNT erano tutti americani (anche d’immigrazione) – in linea con il canone dell’epoca che privilegiava protagonisti non italiani, ma presentavano numerosi tratti (e vizi) nazionali. Anche i meccanismi umoristici della serie attingevano in pieno ai canoni della commedia all’italiana, con elementi di denuncia sociale che rimandavano al nostro Paese.

Ciò nonostante, la versione jugoslava a partire del 1972 incontrò da subito il gusto del pubblico locale tanto da diventare nell’arco di alcuni anni un vero e proprio fenomeno di massa.

Al successo contribuirono le traduzioni dello zagrebino Nenad Brixi, che utilizzò come base la parlata croata  – comprensibile a gran parte della popolazione jugoslava – infarcendola di registri teatrali e aulici. Per compensare la rimozione di alcuni temi, dovuta alla collocazione neutralista del Paese (mai citare Usa, Urss e neanche i nazisti), Brixi aggiunse poi alcune trovate surreali, con un effetto umoristico aggiuntivo. E questo standard linguistico ha continuato ad essere utilizzato anche dopo la dissoluzione della Jugoslavia fino ai giorni nostri.

Che del Gruppo TNT si trovino numerose tracce nella cultura popolare e artistica balcanica (su tutti basti ricordare il regista Emir Kusturica) ha portato ad interrogarsi su come un fumetto italiano dei fine anni Sessanta, in piena contestazione e alla vigilia degli anni di piombo, possa aver avuto un successo tanto persistente in un contesto completamente diverso.

Di certo ha contribuito una generale predisposizione balcanica per il taglio grottesco delle storie, come pure talune consonanze sociologiche, quali un sarcasmo popolare nei confronti dell’autorità costituita, soprattutto quando si prende troppo sul serio.

Quale che sia la ragione di questa popolarità, sta di fatto che il riuscito cocktail di humor nero e anti-eroismo di Alan Ford si è ben sposato con la propensione anarchica e ribellistica degli adolescenti dell’ex Federazione, agendo per loro come libertaria e salutare valvola di sfogo.

Un fenomeno peraltro assolutamente non intenzionale, in quanto Alan Ford si è sempre basato su ancoraggio italiano, in termini di sostrato valoriale, meccanismi narrativi e riferimenti di attualità.

Sta di fatto che, fatte salve alcune mostre organizzate per il cinquantennale della serie,  anche nel caso di Alan Ford – come con Zerocalcare – il Sistema Italia non si è avvantaggiato più di tanto di questo notevole potenziale geo-politico di soft power.

Magari per valorizzare il proprio protagonismo nei Balcani occidentali, dove a tutt’oggi gran parte dei lettori ignora che questo fumetto sia di origine italianissima.

Da Zerocalcare ad Alan Ford. Soft power del fumetto italiano

Di Igor Pellicciari e Andrea Silvestri

Da Zerocalcare ad Alan Ford, il Sistema Italia non si è avvantaggiato più di tanto del notevole potenziale geo-politico di soft power dei fumetti. L’analisi del prof. Igor Pellicciari (Università di Urbino) e Andrea Silvestri (autore di “Fumetti e Potere”)

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