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Nell’ultimo triennio è iniziato un radicale cambiamento geopolitico a livello mondiale, caratterizzato da: instabilità, velocità dei cambiamenti, imprevedibilità. Lo confermano l’attacco russo all’Ucraina, quello di Hamas contro Israele, la distruzione di Gaza e gli attacchi contro le organizzazioni terroristiche da parte di Israele, gli attacchi degli Houti contro le navi da trasporto occidentali nel Mar Rosso, gli attacchi missilistici iraniani contro Israele e la sua reazione, la caduta del regime siriano.

La nuova presidenza Trump si sta, in qualche modo, caratterizzando in modo analogo sui primi due fronti: instabilità e velocità dei cambiamenti. Molte delle prime misure adottate nel giro di pochi giorni comportano l’uscita degli Stati Uniti da una serie di accordi internazionali e relativi impegni, contribuendo obiettivamente a rendere lo scenario internazionale più instabile. Sul terzo fronte, invece, l’amministrazione americana si sta dimostrando “prevedibile” perché di fatto rispetta una parte degli impegni elettorali. A meno che non lo si voglia considerare “imprevedibile” perché è ormai prassi comune di molte democrazie il mancato rispetto delle promesse.

In quest’ottica è difficile aspettarsi sconti sul fronte europeo della Nato. La prima richiesta americana è quella di “ribilanciare” l’impegno finanziario fra Stati Uniti ed Europa, con due espliciti obiettivi: impedire che l’Europa goda della rendita di posizione derivante dal fatto che continua a impegnare meno risorse finanziarie nella difesa e quindi le può utilizzare in altri settori; ottenere nuove commesse a favore dell’industria americana visto una parte significativa della nuova spesa europea dovrà essere fatta oltre oceano perché le imprese europee non hanno oggi sufficienti capacità per assorbirla.

Il cambiamento geopolitico ha una diretta e rilevante ripercussione sulla sicurezza dell’Europa e impone un chiarimento strategico e le conseguenti decisioni su tre punti fondamentali. Primo: può e deve l’Europa sviluppare una sua autonomia strategica per consentirle di operare quando necessario in difesa dei suoi interessi vitali, pur mantenendo un forte legame transatlantico? Secondo: deve l’Europa assumersi maggiori responsabilità per la sua difesa e per tale ragione agire per colmare le lacune militari esistenti e rafforzare la nostra base tecnologica e industriale? Terzo: è disposta l’Europa a condividere fra i suoi Stati membri l’uso delle risorse disponibili per soddisfare particolari esigenze militari non acquisibili individualmente?

Più in generale, la risposta che deve venire dai capi di Stato e di governo, o per lo meno da una loro significativa e qualificata maggioranza, è che l’Europa vuole, può e deve essere un futuro attore geopolitico a livello mondiale e non accettare di rimanere in un ruolo subordinato di ampio e maturo mercato, senza una reale capacità di far valere i suoi interessi nelle architetture future di sicurezza globale.

Il vero problema è quello di definire il “come fare”, dal momento che il tema della difesa è nuovo per l’Unione europea, con poche eccezioni escluso dai Trattati in vigore e solo dopo l’attacco russo all’Ucraina affrontato seriamente nelle Istituzioni europee.

Per quanto riguarda lo sviluppo dei primi due temi, essi richiederebbero un preliminare forte indirizzo politico, a partire dal preannunciato Libro Bianco per la Difesa Europea. Al momento sembra, invece, esservi il rischio di un’impostazione fortemente incentrata sul breve termine, sulla dipendenza passiva dalla NATO, ma soprattutto sulla mancanza di una visione strategica per il futuro.

Affrontare un possibile ruolo più ampio, più integrato e più collaborativo degli Stati membri e delle istituzioni europee nella definizione e nello sviluppo di una più ampia dimensione europea di difesa richiederebbe, però, una nuova architettura, con chiari ruoli tra i differenti attori e percorsi condivisi e trasparenti per le decisioni. Non essendo percorribile a breve-medio termine una soluzione a livello di Istituzioni comunitarie (che richiederebbe una modifica dei Trattati), l’unica reale possibilità dovrebbe basarsi sul riconoscimento dei due attuali pilastri. Il primo, che deve rimanere a livello intergovernativo, in grado di identificare le necessità militari, le loro priorità e i percorsi per sviluppare le attività collaborative, mantenendo la responsabilità delle decisioni finali in capo agli Stati membri, ma promuovendone un più stretto coordinamento in un quadro collaborativo. Il secondo, gestito dalle Istituzioni europee, teso a facilitare e sostenere l’esecuzione dei progetti individuati e concordati mediante lo sviluppo di adeguati strumenti regolamentari e finanziari per la loro realizzazione. In quest’ambito, il principale obiettivo dovrebbe essere il rafforzamento della base tecnologica e industriale europea, che oggi soffre di insufficienti capacità produttive e di know-how tecnologico, di accesso alle risorse di base, di un mercato fortemente dominato da attori non europei che sono meglio posizionati a offrire ciò che è necessario, anche a causa del passato sostanziale disinteresse europeo per il settore e di insufficienti finanziamenti per la difesa.

Questa separazione va accettata e gestita da tutti gli attori europei, rimuovendo il dubbio che qualcuno cerchi di utilizzare la necessità di affrontare rapidamente i rischi e le minacce del nuovo scenario geopolitico per alterare l’equilibrio fra i due pilastri. Con l’aggravante che l’Europa, in questo modo, perderebbe ulteriore tempo e rischierebbe di arrivare troppo tardi per costruire una sia credibile autonomia strategica.

Uno dei nodi che oggi vanno sciolti riguarda la capacità dei principali Stati membri di conciliare la collaborazione tra loro a livello intergovernativo e la collaborazione/partecipazione a livello comunitario. In questi ultimi anni la leva finanziaria ha rafforzato il ruolo di quest’ultimo anche nel campo della difesa, ma resta una mancanza di competenza e di esperienza sia sul piano giuridico sia su quello operativo. Questo vuoto dovrebbe continuare a essere riempito dalle iniziative intergovernative che, quindi, dovrebbero essere rafforzate attraverso gli strumenti già disponibili, dall’EDA (con il collaudato meccanismo CARD-CDP) all’EUMC-EUMS e PESCO (valutando la possibilità di utilizzarlo per costruire al suo interno un gruppo di Stati membri “willing and able” nell’accelerare l’integrazione nell’intero campo della difesa).

In questo quadro bisognerebbe, quindi, evitare la tentazione di sviluppare solo rapporti diretti fra Stati membri e istituzioni comunitarie, che finirebbero per privilegiare solo i Paesi tradizionalmente più forti a Bruxelles e la Commissione (che non può affrontare adeguatamente la complessità del mondo della difesa), come previsto dalle sue due ultime iniziative (EDIS e EDIP).

L’Italia in questo momento, grazie alla sua stabilità e ruolo internazionale e alla debolezza dei partner più importanti, potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nell’orientare correttamente le scelte europee, perseguendo insieme i suoi interessi nazionali e quelli del Vecchio Continente. Per farlo è, però, necessario prepararsi facendo meglio e tempestivamente i “compiti a casa”: definire la nostra strategia nazionale nel campo della difesa e della sicurezza (individuandone a livello interministeriale gli obiettivi di breve e medio periodo) e rispettare l’impegno ad aumentare le spese per la difesa (che sempre di più potrebbe compromettere la nostra credibilità in questo campo).

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