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Ieri, 12 ottobre 1942, Cristoforo Colombo ha scoperto l’America: navigatore eccezionale, eroe popolare, simbolo del Rinascimento e del Nuovo Mondo. Oggi, 13 ottobre 2021, Colombo è considerato in più parti degli Stati Uniti un razzista e un antesignano del colonialismo, sterminatore di nativi americani, simbolo di oppressione e conquista a forza. Le sue statute sono abbattute, la memoria azzerata e vilipesa.

Colombo è forse l’esempio più eclatante di quella che viene chiamata cancel culture e più in generale metafora della tendenza, inquietante e perversa, di voler giudicare con gli occhi e il metro morale di oggi fatti ed episodi accaduti centinaia di anni fa in altri contesti storici e in altre situazioni contingenti. È un filone di pensiero che, partito con l’intenzione di rivedere episodi e snodi che hanno determinato e condizionato, non sempre in modo positivo, la vita di milioni di persone è finito per diventare uno strumento per accuse indiscriminate e tendenze pericolosamente censorie agitate da gruppi di pressione con intenti e modalità d’azione opache e discriminatrici.

Molto presente negli Usa e divenuta un filone di pensiero e azione di notevoli dimensioni in particolare dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un agente di polizia, in Europa gli echi di un simile atteggiamento sono meno forti, e per lo più si sono sovrapposti alla battaglia del “politicamente corretto” portata avanti in varie occasioni da gruppi e organizzazioni nell’ambito della lotta alla discriminazione sessuale e a favore del rispetto delle minoranze di tutti i tipi.

La cancel culture o il politicamente corretto possono essere piuma o ferro, riprendendo una nota battuta comica. Nel senso che possono essere formidabili elementi attivatori di discussione e confronto oppure trasformarsi in gabbie ideologiche che invece dell’analisi portano all’intolleranza e demonizzazione. Può insegnare qualcosa perfino a proposito nell’infinita diatriba su fascismo/antifascismo che occupa le pagine dei giornali e alimenta lo scontro politico. La voglia di giudicare il passato espungendo quel che non piace è un demone che non smette di agitarsi. Ma che allo stesso tempo non aiuta a formarsi un’opinione corretta su comportamenti e accadimenti che ci hanno preceduto.

Usare la Storia riveduta e corretta ad usi e intenti strumentali, non raddrizza il legno storto degli uomini che tanto angustiava Kant. Piuttosto la rende terreno manipolabile per incursioni quasi mai prive di superficialità. Invece il rispetto del passato, che non vuol mai dire giustificazione di atrocità in nome di un relativismo ipocrita, è decisivo per acquisire consapevolezza e capacità d’indirizzo. La Storia è maestra di vita, nella stragrande maggioranza dei casi inascoltata. Ridurla a un pret a porter da mettere e dismettere nell’armadio delle convenienze, è il peggior torto che le si possa fare.

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