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La crisi generata dal Covid-19 ha accelerato la necessità di un aggiornamento della regolamentazione nel mondo dell’informazione, in particolare per quanto riguarda la dimensione online. Nei mesi più critici della pandemia, infatti, un’ulteriore infezione è dilagata: l’infodemia originata da una massiccia diffusione di fake news.

Tonnellate di notizie false, o esagerate alla rincorsa di sensazionalismi, quelle che già tipicamente si insinuano tra le pieghe dell’informazione attorno ai temi mediaticamente “caldi”, sono proliferate in relazione al coronavirus orientando l’opinione pubblica verso comportamenti dannosi, ma anche disaffezione e talvolta rabbia.

Per far fronte a questo fenomeno ormai notorio, che nasconde spesso interessi economici e commerciali legati al clickbait, si sono prontamente attivate istituzioni internazionali e nazionali perché è certamente il digitale l’ambiente in cui prolifera questo genere di disinformazione, ma le ricadute in termini di perdita di fiducia verso le organizzazioni e i profili alla guida dei Governi sono reali e misurabili.

A questo evento se ne aggiunge un altro, talvolta più difficile da intercettare in quanto mutuato da testate autorevoli e il più delle volte guidato dalla buona fede. Il recente stravolgimento della proposta mediatica, che dai primi Dpcm si è fortemente orientata verso il coronavirus, ha fatto sì che le pagine e le agende di quotidiani e trasmissioni, e di conseguenza le redazioni, venissero ridisegnate per riservare ampio spazio ad argomenti scientifico-sanitari, spesso dando voce direttamente a virologi, ricercatori e scienziati.

Insomma, molti professionisti dell’informazione hanno iniziato a trattare approfonditamente argomenti specifici e delicati senza averne sempre le competenze e, d’altro canto, molti scienziati si sono trovati a comunicare ai media senza averlo mai fatto prima. Questo, unito a un’oramai indispensabile velocità nell’emettere la notizia, talvolta forsennata, ha generato approssimazione.

Nell’ultimo anno sono state molte le news, corroborate e amplificate dal dibattito sui social network e dall’intervento di opinion leader di diversi mondi (dai personaggi dello spettacolo a illustri accademici), ad aver scosso la coscienza pubblica: a partire dall’iniziale attribuzione di responsabilità alla Cina, fino ad arrivare alla sfiducia verso il vaccino Astrazeneca, passando per l’inefficacia dei tamponi rapidi.

È evidente che il Covid-19 abbia riscritto innumerevoli aspetti delle nostre vite ridefinendo le relazioni interpersonali ma anche il rapporto sociale con istituzioni ed esperti; dal punto di vista della comunicazione, ha addirittura portato con sé nuovi termini, presi da altre lingue o settori specifici, e adottati nel quotidiano con incredibile rapidità: “lockdown”, “coprifuoco”, “droplet”, “task force”, solo per citarne alcuni. In un certo senso, la pandemia ha anche “riappacificato” media tradizionali, da una parte, e lettori e ascoltatori dall’altra.

Sì, perché le persone hanno ripreso a comprare i quotidiani, soprattutto locali, e anche chi prima passava poco tempo a casa, adesso è tornato alla TV. Dunque è tempo di ristabilire quel patto di fiducia, tra informatori e fruitori di notizie, che non può più essere rimandato, che merita attenzione e tutela e che rappresenta quel germe (vivifico!) che fertilizza un pensiero critico e variegato imprescindibile per una ripartenza energica, sostenibile e civile.

Tra notizie false e infodemia, la regolamentazione necessaria della comunicazione

I media rappresentano un acceleratore della fiducia e di una coscienza critica collettiva come fattori irrinunciabili per il rilancio dell’Italia. I temi principali del web talk “Rilanciare il potenziale dell’Italia” di Task Force Italia che lunedì 26 aprile alle 18:30 ospiterà Ferruccio De Bortoli, giornalista, anticipati a Formiche.net da Federico Fabretti, partner di Comin & Partners e componente di Task Force Italia

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