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C’è un partito trasversale in rapida crescita all’interno di tutti i movimenti politici. È un partito che potrà essere determinante alle prossime elezioni autunnali e la cui irresistibile ascesa potrà contare anche nelle alleanze per l’elezione del Capo dello Stato ed ancor più per l’assetto politico del Paese quando l’esperienza del governo di emergenza nazionale si sarà completata.

È il “partito dei vaccinati”, di coloro che hanno offerto il braccio alle dosi di vaccino (due nella più parte dei casi) per varie ragioni – timore dell’infezione per se stessi e per i propri familiari e congiunti, responsabilità civile, e via discorrendo – e che vedono come fumo negli occhi i “no vax” e “no mask” in quanto potenziali “untori” i quali, soprattutto a fronte delle varianti del virus, potranno causare una nuova ondata della pandemia con annesse nuove restrizioni. Mentre i “no vax” e i “no mask” protestano e fanno chiasso, il “partito dei vaccini” cresce in silenzio e diventa decisivo nel futuro dell’Italia.

I leader politici che strizzano l’occhio ai “no vax” e ai “no mask” cominciano ad avere ripensamenti. Sono in ambasce: analisi quantitative del fenomeno in Italia non ci sono, ma alle ultime proteste si sono viste piazze semi-vuote e uomini politici che correvano a nascondersi nei bar per non farsi riprendere dalle televisioni.

Interessanti i dati raccolti dalla Kaiser Foundation negli Stati Uniti. In dicembre, alla domanda “vi farete vaccinare”, unicamente il 15% degli intervistati ha risposto “decisamente sì”, il 9% “farò la prima iniezione e vedrò”, il 39% “aspetterò di vedere cosa succede” e gli altri “non so” oppure (il 15%) “giammai”. La fondazione ha ripetuto il sondaggio sei mesi dopo: tutti coloro che avevano risposto “starò a vedere” hanno risposto con un deciso “sì” e molti di loro nel frattempo avevano almeno iniziato il processo vaccinale, quelli che intendevano in dicembre fare la prima iniezione avevano fatto anche la seconda. Quindi, il “partito dei vaccinati” sfiorava il 70% a cui aggiungere (almeno potenzialmente) il 6% degli intervistati, che ha dichiarato che “si sarebbe vaccinato se richiesto”. I “no vax” e “no mask” duri e puri sono scesi dal 15% al 14%.

Questi dati sembrano essere stati decisivi nel convincere il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha (a ragione o a torto) la fama di non essere un cuor di leone, a prendere una decisione drastica: chi non è vaccinato, non può prestare servizio per l’amministrazione federale (in quanto può infettare altri). Governatori dei due partiti stanno seguendo il suo esempio. I “no vax” e i “no mask” rischiano di essere esclusi dal pubblico impiego e di restare senza stipendio. Ed anche da opportunità di lavoro, o solo di mantenere incarico e remunerazione, in molte imprese private. I “duri e puri” – si aspettano alla Kaiser Foundation – scenderanno presto a un frizionale 5%. Ciò in un Paese come gli Stati Uniti d’America la cui Costituzione (ed etica) è fondata sulla libertà (e responsabilità) individuale.

Come tutte le scelte, la decisione di vaccinarsi o meno dipende da un calcolo costi-benefici o rischi-opportunità. In Paesi dirigisti come la Francia e in misura minore l’Italia, la politica ha adottato “incentivi negativi” per incidere sul calcolo: chi è “no vax” e “no mask” non può accedere a varie forme di socializzazione (alberghi, teatri, cinema, ristoranti al chiuso). Si ventila la possibilità di estendere le restrizioni ai trasporti di lunga percorrenza e all’insegnamento (dove il contatto è necessario per svolgere la propria funzione).

Misure – tutto sommato – limitate se raffrontate con quelle dei liberali e libertari Usa dove si mettono in gioco posto di lavoro e stipendio.

Al “partito dei vaccinati” conviene che continui ad esistere una piccola frangia rumorosa. Il chiasso non fa politica e contribuisce all’ascesa degli avversari.

L’irresistibile ascesa del partito dei vaccinati

I leader politici che strizzano l’occhio ai “no vax” e ai “no mask” cominciano ad avere ripensamenti. Si litigano un elettorato sempre più piccolo. In fondo quelle prese in Italia sono misure limitate se raffrontate con quelle dei liberali e libertari statunitensi dove si mettono in gioco posto di lavoro e stipendio. Il commento di Giuseppe Pennisi

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