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A una settimana circa dalla grande vittoria degli azzurri a Wembley, si è potuto notare che molti osservatori vedono in quella vittoria un possibile segnale per la ripresa del Paese. Anche il New York Times ha applaudito alla rinnovata credibilità del Paese di Roberto Mancini e Mario Draghi, ma sono fiorite interpretazioni forse un po’troppo generose, ottimistiche e creative sugli effetti della vittoria degli azzurri, così come sulla riscossa del Paese. Basti notare il caso di un sottosegretario che ha dichiarato che la vittoria porterà il 7% di Pil in più. D’altronde, il nostro è un Paese di creativi… la vittoria degli azzurri è stata certamente un miracolo, grazie soprattutto all’opera in questi ultimi tre anni di Mancini, basato su un fattore fondamentale nel calcio, e molto carente nel Paese: la meritocrazia.

Mancini ha adottato, infatti, un modello di selezione dei talenti mettendoli al punto giusto, poi puntando su “anziani sicuri” (Bonucci e Chiellini), scoprendo giovani meno noti, come ad esempio Pessina e Locatelli. Grazie a questa selezione meritocratica, si è avviato il processo che ha condotto gli azzurri fino alla vittoria di Wembley.

Nel Paese invece si riscontrano gravi ritardi, sia nelle grandi reti come la scuola, la giustizia e la sanità sia nelle istituzioni pubbliche, a cominciare dalle istituzioni politiche. Nella scuola italiana si è adottato per un periodo ben più lungo che negli altri Paesi europei il modello della didattica a distanza che, come è emerso da recenti indagini, ha dato frutti pessimi. I limiti e i ritardi del sistema della giustizia li conosciamo tutti e possiamo contare per fortuna sulle riforme che verranno varate in collegamento con il Pnrr. Quanto alla sanità, frastagliata e differenziata sulla base di un federalismo regionale in buona parte fuori luogo, le performance non sono state certo le migliori salvo il sacrificio dei singoli addetti alla sanità che hanno fatto di tutto per fronteggiare la pandemia. Quanto ai ritardi e al modello opposto rispetto a quello su cui si è basata la nazionale di Mancini delle istituzioni politiche, basti notare che i parlamentari sono cooptati in larghissima parte dai leader di partito e non certo nella maggior parte dei casi per rappresentatività né tantomeno per meritocrazia. E questa è una grave palla al piede per il funzionamento della principale istituzione politica.

Quanto al sistema universitario, i ritardi sono molti e non possiamo certo vantare il 149esimo posto nella classifica internazionale più accreditata, di quella che figura la migliore università italiana, il Politecnico di Milano. Negli ultimi anni, gli studenti dell’Università sono progressivamente calati, si è registrata la fuga dei cervelli, per cui i migliori quanto a selezione meritocratica li esportiamo all’estero e vanno ad alimentare le università inglesi o americane in modo tale che l’investimento formativo di molte università pubbliche va a beneficio di altri paesi. Ci sono poi notevoli ritardi quanto a modelli seriamente meritocratici in molte delle nostre università come evidenzia tra l’altro la fioritura delle università telematiche.

Ma anche il nostro capitalismo in larga parte famigliare non si basa su seri e sperimentati modelli meritocratici e su una ricerca dell’eccellenza come si è basata la nazionale messa assieme da Mancini.

Rispetto al “miracolo calcistico”, che è l’ultimo e forse il più significativo rispetto ad altri miracoli calcistici condotti tra l’82 e il 2006 dalla nostra Nazionale, siamo lungi dal vedere un miracolo economico e l’ultimo resta quello di 50 anni fa.

Nel nostro capitalismo famigliare latita infatti spesso la selezione dei talenti e la ricerca dell’eccellenza e contano invece modelli familistici. Basti pensare ai tanti osannati “giovani imprenditori di Confindustria” che in grandissima parte sono figli di imprenditori, ovviamente, e sempre meno giovani.

In sintesi, se il progetto ambizioso di Mancini si è basato sul selezionare talenti e metterli al posto giusto, non è certo questo il modello che segue la nostra classe politica, e per certi aspetti anche la nostra classe imprenditoriale, per cui i fattori che hanno portato al successo di Wembley sono largamente e diffusamente assenti nel tessuto istituzionale, politico, economico, accademico e, purtroppo, per alcuni versi, imprenditoriale del Paese.

Tra l’Italia vincente di Mancini e l’Italia dei problemi di sempre

Se il progetto ambizioso di Mancini si è basato sul selezionare talenti e metterli al posto giusto, non è certo questo il modello che segue la nostra classe politica, e per certi aspetti anche la nostra classe imprenditoriale, per cui i fattori che hanno portato al successo di Wembley sono largamente e diffusamente assenti nel tessuto istituzionale, politico, economico, accademico e, purtroppo, per alcuni versi, imprenditoriale del Paese. Il commento di Luigi Tivelli

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