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Un po’ a Parigi e un po’ a Budapest. La partita del vaccino si gioca anche in casa Lega e vede due squadre diverse in campo. Da una parte il segretario Matteo Salvini, dall’altra il vice e ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti.

Il primo impegnato in una corsa contro il tempo per portare in Italia il vaccino russo Sputnik V. Il secondo ad attuare l’agenda Draghi, cioè a tessere una rete con il governo francese e la Commissione Ue per riconvertire l’industria del farmaco italiana e aumentare la produzione dei vaccini anti Covid-19.

I tabulati telefonici parlano chiaro. Da settimane Salvini si è messo a capo di una personale missione diplomatica: sdoganare il vaccino di Mosca per importarlo il prima possibile in Italia, magari prima ancora che abbia ottenuto la necessaria approvazione dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, o della sua controparte italiana, l’Aifa. Un via vai di chiamate, riunioni zoom, qualche sporadico incontro dal vivo, con un’agenda dal passo ministeriale, anzi presidenziale.

Prima l’incontro con Teodoforo Lonfernini, il segretario del Lavoro di San Marino, la piccola Repubblica indipendente nell’emiliano che per prima in Europa ha ordinato le dosi del farmaco russo offrendo un formidabile spot alla campagna pubblicitaria del Cremlino.

Poi lo squillo a Viktor Orban, il premier ungherese fresco di strappo con il Partito popolare europeo. Che si è vaccinato con il cinese Sinopharm, ma ha già ordinato centinaia di migliaia dosi del vaccino made in Russia, con buona pace dell’Ema. La telefonata è datata 3 marzo e su twitter Salvini chiarisce, “Abbiamo parlato di piano vaccinale”.

Tempo una settimana ed ecco il telefono del “Capitano” squillare due volte. Questa volta rispondono dalla Polonia. L’amico a capo del Pis, il sovranista Jaroslaw Kaczynski, con cui Salvini immagina un gruppo unico a Bruxelles, e il premier polacco Mateusz Morawiecki, a discutere di “soluzioni per la crisi sanitaria”.

L’ultima telefonata, finora si intende, risale a questo mercoledì. Dall’altra parte c’è un altro primo ministro, il capo del governo sloveno Janez Jansa. Nuova chiamata, stessa musica: “Oggi ho incontrato il premier sloveno, abbiamo discusso di come eventualmente cercare altrove i vaccini – ha fatto sapere Salvini – se funziona può essere russo, israeliano, indiano, bisogna usarlo”.

La mappa geografica che viene fuori dal can can di telefoni a Via Bellerio collima in parte con il gruppo di Visegrad, in parte con quei Paesi dell’Est Europa che iniziano a fare sponda alla propaganda russa sui vaccini. Entrata ora in una fase acuta, con i media governativi a tamburellare h24 all’indomani dello stop di Francia, Germania e Italia al vaccino AstraZeneca per sospette reazioni avverse.

Mercoledì, a Vienna, alla corte del cancelliere Sebastien Kurz, si è riunito il gruppo dei primi ministri di Slovenia, Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Lettonia. Tutti Paesi che, Austria compresa, hanno già aperto al vaccino russo. Sul quale però rimangono non pochi dubbi dalle autorità europee. Dall’Ema hanno fatto sapere che inocularsi Sputnik V prima che sia approvato è come giocare “alla roulette russa”.

Niente pregiudizi, ha spiegato il Commissario Ue francese al Mercato Interno Thierry Breton questo mercoledì, che però inverte la narrazione (cara al Cremlino) di una Russia come Stato “donatore”: “Dovremo probabilmente aiutare la Russia, dal momento che hanno difficoltà a produrre questo vaccino e dato che vedo molte richieste per usare impianti in Europa”.

Sulla stessa linea d’onda si adagia Giorgetti, l’altra anima della Lega atterrata al vertice del Mise con il governo Draghi. Con Breton l’interlocuzione è continua. Il francese ha esposto a Roma il piano per riconvertire la filiera industriale italiana e produrre un vaccino “made in Italy” e ha pure riservato al leghista un endorsement politico non scontato, “lui non è Marine Le Pen”. Un altro francese, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, farà visita al ministro leghista giovedì, a riprova di un asse fra Roma e Parigi sulla partita vaccini confermato, fra l’altro, da una telefonata tra Draghi ed Emmanuel Macron per rilanciare la campagna di AstraZeneca.

Il traguardo, vaccinare il più alto numero di italiani possibile, sarà anche lo stesso. Le strade per arrivarci però sono molto diverse. Una passa da Visegrad e arriva a Mosca, l’altra da Parigi, Bruxelles e Washington DC.

Qui, all’ombra della Casa Bianca di Joe Biden, hanno le idee fin troppo chiare: la partita dei vaccini non è solo una questione di salute. L’affondo sferrato dal presidente americano a Vladimir Putin, definito in un’intervista all’Abc “un assassino” che “pagherà” per aver interferito nelle elezioni presidenziali, è sintomatico di un clima cui non può restare a lungo estranea la diplomazia del virus.

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