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In questi giorni si fa un gran dibattere della proposta avanzata dall’amministrazione americana sotto la guida di Joe Biden di sospendere in maniera eccezionale i brevetti sui vaccini, così da garantire, almeno nelle intenzioni dei sostenitori di questa posizione, una maggiore disponibilità del farmaco anche per i Paesi meno sviluppati e quelli poveri, che stanno tutt’oggi subendo pesantemente le conseguenze della pandemia non essendo riusciti a stipulare in tempo accordi con le case farmaceutiche, o molte volte non disponendo proprio delle risorse necessarie per acquistarli.

La proposta è stata accolta con timido favore dai capi di Stato e di governo di alcuni Paesi europei, come Francia e Belgio. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta pronta a discutere l’opzione. Un fermo no, invece, è arrivato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel.

Per giudicare se la rimozione dei brevetti sui vaccini sia o meno una buona decisione, bisogna partire da due fatti fondamentali.

Il primo fatto è che la natura di questo virus fa sì che esso muti con estrema velocità (le cosiddette “varianti”: inglese, brasiliana, sudafricana, indiana, eccetera). La sola possibilità di limitare queste varianti è che la gran parte della popolazione del mondo venga vaccinata al più presto, essendo di fatto impossibile – e anche del tutto indesiderabile – chiudere i flussi internazionali delle persone e delle merci. La moltiplicazione delle varianti renderebbe drasticamente più bassa l’efficacia dei vaccini somministrati nei Paesi più ricchi, compresa l’Europa. Quindi è del tutto nel nostro interesse che la parte più ampia possibile di tutto il mondo venga vaccinata.

Il secondo fatto è che la produzione dei vaccini, specialmente di quelli dimostratisi più efficaci, come Pfizer e Moderna, è un processo estremamente complesso. Pfizer o Moderna possono essere spogliate dei propri brevetti. Possono anche volerlo regalare a chiunque voglia utilizzarlo. Non per questo i Paesi meno sviluppati e quelli poveri sarebbero in grado di produrlo, e soprattutto di produrlo nelle quantità necessarie. Per fare una analogia: è come se la Nasa o Elon Musk rendessero pubblici i progetti di costruzione del razzo Starship. Pochissimi Paesi, o forse nessuno, sarebbero in grado di costruire un missile eguale.

Da questi due fatti segue che vi sono buone ragioni per ritenere che la rimozione, anche solo temporanea ed eccezionale, dei brevetti sui vaccini, non sia una buona idea. E in particolare per l’Europa.

Prima di tutto, qualora la Commissione europea decidesse di allinearsi alla proposta americana, si andrebbe in evidente contrasto con i valori europei del Mercato unico e dello European way of life (per la cui promozione esiste anche un Commissario europeo): verrebbero meno infatti gli incentivi per le case farmaceutiche a fare ricerca, non solo per quanto concerne il Covid-19 (non dimentichiamoci che ancora tanto bisogna fare per arrivare a un trattamento terapeutico efficace e mini-invasivo in caso di contagio e sintomatologia grave) ma anche per future crisi pandemiche che, in un mondo globalizzato, sono purtroppo del tutto prevedibili.

Ma gli effetti negativi non si fermerebbero alle crisi pandemiche. Che cosa succederebbe se un domani, speriamo molto vicino, venisse scoperto un farmaco antitumorale di estrema efficacia da parte di una casa farmaceutica? Si sospenderebbero un’altra volta i brevetti? Nel dubbio, è ovvio che gli investimenti nella ricerca dei farmaci antitumorali verrebbero drasticamente ridotti.

Sono fortemente convinta che la posizione degli Stati Uniti sia in questo caso miope e allinearsi vorrebbe dire vanificare gli sforzi per costruire un settore farmaceutico europeo che sia autonomo, strategico e resiliente. Una decisione del genere avrebbe effetti fortemente disincentivanti nei confronti degli investitori privati e minerebbe di fatto l’abilità del settore europeo a essere leader mondiale nella ricerca.

Dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti hanno contribuito in maniera molto marginale all’esportazione di dosi vaccinali, a differenza dell’Unione europea che ne ha esportate 200 milioni, tante quante sono le dosi somministrate ai suoi cittadini. Sospendere i brevetti è una decisione decisamente ipocrita. Se davvero gli Stati Uniti vogliono contribuire a eradicare il virus dal mondo dei Paesi meno sviluppati e di quelli poveri, la sola cosa che devono dare è sovvenzionare fortemente, con il denaro pubblico, la produzione di un grande numero di vaccini da parte delle loro aziende farmaceutiche. “Regalare” il brevetto a questi Paesi è un modo cinico per apparire buoni ed umanitari, senza contribuire in alcun modo ad aiutarli davvero.

Un’Unione europea che voglia ambire ad acquisire importanza nello scenario geopolitico globale deve essere quindi molto decisa nel richiamare gli Stati Uniti a incrementare le esportazioni. Un’Unione forte è quella che detta gli standard per una fruttuosa collaborazione tra pubblico e privato nella ricerca e nella produzione medico-scientifica.

Dobbiamo avere la lucidità di guardare questo tema da una prospettiva più ampia, riconoscendo anche che la rimozione dei brevetti costituirebbe un precedente pericoloso a livello globale e garantirebbe ai nostri concorrenti, in primis la Cina, una full disclosure pericolosissima sul piano politico e strategico.

Non cadiamo nell’errore di farci dettare l’agenda politica solo dalle urgenze dell’immediato: noi europei dobbiamo dare una visione del futuro, garantendo sempre che il principio di equità sia correttamente coniugato alle regole del libero mercato, vero unico motore di progresso e innovazione. Solo così, saremo in grado di garantire alla Next Generation europea pace, prosperità e un futuro solido.

Astrazeneca vaccino

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