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C’è un’Italia sconosciuta nascosta nelle profondità dei fondali che circondano il territorio nazionale. E l’Italia che si immerge in quella che è la Piattaforma continentale  (Pc), vale a dire secondo il diritto del mare  “il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare territoriale attraverso il prolungamento naturale del suo territorio terrestre”.

Questo spazio sommerso, esteso nel Mediterraneo più del territorio emerso per circa 500.000 km2,  è poco conosciuto nonostante contenga ingenti depositi di minerali. Ma in Italia pochi sanno che la Pc appartiene di diritto al Paese, a prescindere dalla sovrastante Zona economica esclusiva (Zee) da noi istituita nel 2021 senza fissarne i limiti.

La questione in realtà ci interessa molto da vicino. La Pc è infatti un’area vitale per la difesa e la sicurezza: in essa sono posati cavi e condotte, “infrastrutture subacquee di interesse nazionale”, come le definisce il Ddl n. 1462 sulla sicurezza delle attività subacquee in discussione al Senato. 

D’altronde, non a caso la nostra premier Giorgia Meloni, nel suo discorso alla Camera del 25 ottobre 2022, aveva fatto riferimento alle riserve energetiche della Pc affermando che: “I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno”.

Fa perciò riflettere l’analisi del presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, che ha evidenziato l’esigenza  di una strategia nazionale di estrazione di gas per ridurre  dipendenza dall’estero e costo delle bollette. Ancora più esplicito è stato il presidente di Federacciai Antonio Gozi quando ha proposto che il prezzo del gas venga calmierato «a fronte di un aumento della produzione nazionale realizzabile con le nuove trivellazioni in Adriatico».

Il problema è semplice. Fino a qualche decennio fa dai mari italiani si estraevano circa 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno che ora importiamo dall’estero. Le istanze ecologiste di alcuni gruppi, il referendum abrogativo sulla proroga delle trivellazioni del 2016 (che non raggiunse il quorum), il cambio di strategia  governativa iniziato nel 2018 hanno pian piano sgretolato la nostra politica energetica offshore. Prova ne sia lo smantellamento nel 2022 – nell’ambito di una riorganizzazione  che andrebbe forse ripensata- del Ministero dello sviluppo economico che della Pc era accorto  ed efficiente custode. 

La transizione ecologica con impianti eolici installati nella Zee avrebbe dovuto consentire l’abbandono del fossile. Questo non è però ancora avvenuto per difficoltà  burocratiche e localistiche, sicchè il fabbisogno nazionale di gas (circa 70 miliardi di mc3 all’anno) è importato quasi per intero a prezzi rilevanti. Giusto quindi,  come misura autarchica per produrre elettricità a costi più ridotti, pensare all’impiego degli idrocarburi ancora disponibili nella nostra Pc in quantità non trascurabili. 

Una cospicua quota di tali riserve (forse 50 miliardi di metri cubi) è stata accertata nell’Adriatico settentrionale, anche se una normativa del 2008 ne limita l’estrazione per il timore del fenomeno della subsidenza. Di queste nostre remore approfitta la Croazia che sfrutta anche giacimenti a cavallo dei rispettivi confini. Nulla ci impedirebbe tuttavia di avviare con Zagabria trattative per il loro  sfruttamento congiunto, anche perché questo consentirebbe di avviare una politica offshore equa, sostenibile ed ecologicamente compatibile.

A prescindere dall’Adriatico,   qualcosa si intravede all’orizzonte ed è la produzione Eni nei giacimenti  Argo e Cassiopea al largo della Sicilia la cui consistenza è valutata in circa 15 miliardi di metri cubi. Quello che va fatto è affrontare apertamente la questione chiarendo all’opinione pubblica che, fino a quando la transizione verso le rinnovabili non sarà realtà, bisognerà anche tener conto del metano estraibile dalla Pc secondo gli standard di protezione ecologica già in vigore. 

Certo, Algeria, Tap e rigassificatori di metano ne forniscono in abbondanza. Ma si tratta sempre di scelte che, come insegna il caso della Russia, alla lunga potrebbero rivelarsi precarie o onerose. Il buon senso vorrebbe quindi che ci si garantisse ridondanza di idrocarburi ricercandoli in zone della nostra  Pc non ancora esplorate come quelle ad ovest della Sardegna o ad est di Malta: Grecia, Egitto, Israele ed Egitto hanno accresciuto di diversi punti il loro Pil dopo la scoperta di nuovi giacimenti. La tecnologia estrattiva tra l’altro sta facendo passi avanti anche per l’attività in acque profonde come insegna la strategia Usa del deep sea mining e quindi per noi si protrebbero aprire nuove opportunità in siti della Pc italiana sinora inesplorati.

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