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Sono bastati un incontro con il quasi-premier Mario Draghi e un post sul suo blog personale perché Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle, portasse sotto i riflettori del Paese la creazione di un “Super-Ministero per la Transizione Ecologica”. Draghi ha accettato di dare seguito alla richiesta del garante del M5S, e gli iscritti a Rousseau hanno dato l’assenso alla nascita del nuovo governo proprio sulla promessa di un nuovo ministero con più poteri e un coordinamento forte con il resto del governo.

Venerdì, prima della formazione del nuovo governo, Formiche ha organizzato un live talk con due ex ministri dell’Ambiente, Edo Ronchi e Gian Luca Galletti, e la giornalista esperta di diritto ambientale, Francesca Santolini, proprio per discutere la proposta di Grillo, l’esperienza italiana e gli esempi stranieri. Con un occhio alle priorità del nuovo ministro, che poche ore dopo è stato annunciato: Roberto Cingolani.

Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, si è dichiarato favorevole a un ampliamento delle competenze e del potere del ministero che ha guidato – “la decarbonizzazione e la mitigazione climatica sono politiche che non si possono fare se non si governa il cambiamento del modello energetico”, ha detto. E in effetti Cingolani ha ottenuto anche le deleghe alle politiche energetiche.

L’ipotesi di fusione con il ministero dello Sviluppo Economico è stata invece accolta con freddezza (e non si è avverata): per Ronchi, si rischiava di snaturare il ministero, senza contare le difficoltà che derivano dal “riorganizzare la macchina” di governo, basata sulla differenziazione delle competenze e delle responsabilità. Analisi condivisa da Gian Luca Galletti, presidente dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti. Va bene un cambiamento di governance su un tema così importante, ma non unire un ente immenso come il MISE con il più piccolo dei ministeri col portafoglio, l’ambiente, pena un disastro organizzativo: “l’Ambiente ha meno di 600 dipendenti, lo Sviluppo Economico ne ha sei volte tanti”.

Galletti ricorda che l’Europa chiede di indirizzare il 37% dei fondi del Next Generation EU nella “transizione ecologica”. Secondo lui, dunque, occorrerebbe “un sottosegretario [alla presidenza del Consiglio] con poteri veri” in materia, mentre si riorganizzano le strutture istituzionali per arrivare a “qualcosa di più compiuto”. E in effetti Cingolani sarà al vertice anche del comitato interministeriale che dovrà gestire la politica green del governo.

“Avendo fatto quattro anni da ministro vi dico: trovare le risorse è il problema minore. Il problema è spendere. Abbiamo una burocrazia invadente, elefantiaca”, continua Galletti; “o risolviamo quel problema subito, o ci troveremo con 78 miliardi di euro bloccati, che andranno poi restituiti”.

Il problema finora è stato anche culturale: l’ambiente è sempre stato un tema minoritario, commenta  Francesca Santolini. Un’istituzione simile al ministero per la transizione ecologica esiste in Francia dal 2007, era Sarkozy, quando sono stati uniti i ministeri di Ecologia ed Energia, diventati poi il “ministero della transizione energetica, ecologica e solidale” sotto il presidente Emmanuel Macron.

Secondo Ronchi, siamo già in ritardo su tutta la linea. Per arrivare davvero alla neutralità carbonica entro il 2050, come promesso in sede europea, occorre produrre il 67-70% di energia da fonti rinnovabili. Noi ora siamo al 37%, ma dobbiamo ricostruire gli impianti, le reti, le capacità di accumulo, tutti processi laboriosi e costosissimi. E ancora, costruire un’economia circolare, sostenibile, riconvertendo le città, la mobilità e intervenendo nelle PMI per indirizzare il processo di evoluzione. Tutto questo è condizione per accedere ai fondi NGEU.

Eppure l’Italia non ha ancora aggiornato i target di decarbonizzazione già implementati dall’Ue. “Ma non basta dichiarare i target, dobbiamo aggiornare [e implementare] il nostro piano nazionale”, argomenta Ronchi, che ricorda la presidenza italiana della COP26, la conferenza sul clima di Glasgow a novembre, in cui il Belpaese rappresenterà l’Europa. “Non esiste presentarsi a Glasgow da organizzatori senza aver fatto i compiti”. Anche perché ne va della riuscita dell’operazione NGEU, visto che l’Italia ne è il beneficiario maggiore.

Ma la questione economica è ancor più essenziale. “Più arriviamo in ritardo, meno diventiamo competitivi, più perderemo posti di lavoro”, interviene Santolini, sottolineando l’obbligo della politica di costruire misure sociali che accompagnino la svolta green per difendere le fasce più colpite. La transizione non deve gravare su di loro, commenta l’esperta; basti ricordare la protesta dei gilet gialli in Francia, innescata dal passo falso di Macron nell’aumentare le tasse sul diesel. Occorre spiegare, investire per facilitare il passaggio, proteggendo chi più ne risentirà.

C’è però motivo di ottimismo. Secondo la modellazione della Fondazione guidata da Ronchi, il target europeo è ambizioso ma tecnicamente raggiungibile, basta coinvolgere ogni settore. Sarà anche economicamente vantaggioso nel medio-lungo termine, come dimostra il mercato premiando sempre più le compagnie impegnate nella transizione. Parlando a nome degli investitori della sua associazione, Galletti aggiunge che loro sono disposti a impegnarsi sul fronte verde, a patto che sia davvero uno sforzo condiviso a livello globale.

L’Europa ha ufficializzato la svolta con il NGEU, anche Joe Biden scommette su un sistema economico più moderno e competitivo oltre che ecologico. E l’Italia è capace di sintonizzarsi su questa accelerazione? “Serve un centravanti di punta”, commenta Ronchi, “e Draghi è in grado di guardare e intervenire in processi di questa portata storica”. Certo, serve anche il resto della squadra. Occorre far convergere le competenze e le direttrici fondamentali nel “superministero” nascituro.

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