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Pax e Rilancio, sono le due parole chiave di questa fase in cui il nostro Paese si prepara al più massiccio piano vaccinale mai fatto e a finalizzare la più alta dotazione finanziaria (209 miliardi di euro) mai vista dai tempi del Piano Marshall. Pax come un momento di relativa tranquillità sociale, istituzionale e politica, che – se togliamo i dissidi all’interno dei partiti – possiamo osservare in modo abbastanza netto rispetto alla fase precedente, che era invece segnata da continue frizioni tra le parti dello stesso Stato che dovevano affrontare la pandemia. E Rilancio, perché la partita sugli investimenti e le scelte strategiche per il futuro del Paese sarà più che mai decisiva per il futuro di tutti.

L’Italia ha potenzialità eccezionali: un patrimonio pubblico immenso, rimasto immobile per decenni e ancora da valorizzare attraverso riqualificazioni e partnership tra il pubblico e il privato; un tessuto produttivo da supportare e collegare per favorire sinergie; territori e aree urbane di cui prendersi cura; infrastrutture da completare e convertire in una logica di sostenibilità; un piano Energia e Clima approvato da implementare; politiche pubbliche innovative ancora rimaste nei cassetti, e che è il momento di ritirare fuori.

Per fare tutto questo servono scelte decise, non v’è dubbio, ma anche una nuova capacità da parte del pubblico e del privato a trovare tecniche e modalità per far accettare senza conflitti queste decisioni nelle comunità, sui territori, presso gli stakeholder. Una capacità di muovere e costruire un consenso diffuso che nel recente passato non è stata sufficiente ad evitare scontri, proteste e un diffuso effetto Nimby, secondo quell’approccio DAD (Decidi – Annuncia – Difendi) che ha di fatto causato il naufragio di tante opere pubbliche e infrastrutture che oggi si sarebbero rivelate essenziali.

Abbiamo osservato negli ultimi anni come la disintermediazione tra cittadini e istituzioni e autorità abbia portato al progressivo indebolimento dei corpi intermedi, e come questo abbia di fatto depotenziato quel fondamentale “ammortizzatore” che intercorre tra le decisioni di soggetti pubblici e privati che legittimamente, e il più delle volte in modo sensato e generativo, scelgono di investire in una particolare opera, e le comunità e le persone che da quell’opera saranno investite. La mancanza di quella frizione ha portato a conflitti spesso insanabili, come ad esempio quello contro la TAV, che non si è stati purtroppo capaci di prevenire e governare con successo.

Governare il conflitto, senza negarlo: questo è il mantra su cui autorità politiche, enti locali e soprattutto le aziende dovranno lavorare nei prossimi mesi. Per farlo c’è bisogno di tecniche e sensibilità particolari, come quelle che hanno permesso al Porto di Genova di chiudere nelle scorse settimane, a proposito della nuova Diga Foranea, il primo débat public all’italiana dopo che il Codice dei Contratti Pubblici ne aveva normato la natura, ispirata dalla tradizione francese del confronto con i territori nel momento in cui si progettano le opere pubbliche.

A Genova, in particolare, l’Autorità Portuale del Mar Ligure Occidentale ha fortemente voluto portare avanti un processo che ha visto partecipazione diffusa di tutti i soggetti interessati, anche quelli critici, in ben 12 incontri, accompagnati da una conversazione strutturata che ha coinvolto la stampa e i social media (126 articoli pubblicati, più di 60mila telespettatori sulle tv locali, 25mila visualizzazioni su Facebook), e che grazie a una cosiddetta “pre-conferenza dei servizi” ha posto le basi per velocizzare l’iter approvativo di una infrastruttura così importante.

Per arrivare a questi risultati sono state adottate tecniche particolari, che non possono essere improvvisate, e che possono seguire degli step precisi, che aiutano a impostare dei processi di reale condivisione, con l’obiettivo di arrivare a progetti migliori e pertanto più condivisi, facendo parlare tutti ma evitando polarizzazioni controproducenti, e andando ad analizzare, prevedere, pubblicizzare l’impatto sociale di ogni infrastruttura, progetto o investimento.

Gli esperti del settore individuano in sintesi tre macro-fasi:

  • il Conflict Assessment, che permette di mappare tutti i soggetti rilevanti per il territorio, ricostruirne le posizioni con diverse metodologie, restituirne una analisi corretta e una strategia conseguente;
  • il Consensus Building, l’intero set degli strumenti di comunicazione trasparente e coinvolgimento degli stakeholder, incluso il dibattito pubblico, volti al raggiungimento di una soluzione condivisa;
  • la Negoziazione Dedicata, per le situazioni in cui è necessario un confronto più ristretto, che includa gli esperti e che porti a un “punto di caduta” finale tra le diverse posizioni in campo.

Un piano di Conflict Assessment & Management – così possiamo chiamare l’insieme di queste tecniche, discipline e passaggi descritti rapidamente qui sopra – che, per essere pienamente efficace, richiederà di essere accompagnato da una comunicazione istituzionale efficace, trasparente e aperta, dalla capacità di interloquire con gli enti locali e le autorità amministrative in modo chiaro, e in modo onesto con la stampa e con i cittadini.

Si apre una fase, dunque, in cui il Paese dovrà accelerare, e di molto, su diversi fronti e impegnando decine di miliardi di euro per opere infrastrutturali chiave. Si apre una fase in cui, sperabilmente, grazie a questa spinta top-down anche tanti privati impegnati in settori come l’edilizia e l’energia vorranno proporre ai territori nuovi e progetti. La sfida per l’esecutivo, la politica e le imprese sarà quella di prevedere e governare i conflitti che da queste iniziative discenderanno: fondamentali saranno il dialogo con le comunità, il monitoraggio attento degli impatti sociali ed economici, una comunicazione sensibile e svolta con cura.

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Come far accettare decisioni fondamentali nelle comunità, sui territori, presso gli stakeholder? Servono tecniche e sensibilità particolari, come quelle che hanno permesso al Porto di Genova di chiudere il primo “débat public” all’italiana. Ne parla Gianluca Comin, docente di Strategie di Comunicazione, Luiss Guido Carli

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