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Il 20 gennaio, appena entrato in carica, il presidente statunitense Joe Biden ha sospeso per 90 giorni un ordine esecutivo dell’era Trump che impediva ad aziende straniere di entrare con investimenti e attività in alcune infrastrutture sensibili come la rete elettrica. Il provvedimento di sospensione rientra all’interno di un ordine esecutivo più ampio “sulla protezione della salute pubblica e dell’ambiente e il ripristino della scienza per affrontare la crisi climatica”.

La ragione per cui era stata approvata la legge sulla rete statunitense è racchiusa nella prima parte dell’atto, che spiega come “gli avversari stranieri stanno creando e sfruttando sempre più le vulnerabilità nel sistema di alimentazione degli Stati Uniti (il BPS, bulk-power system, ndr), il quale fornisce l’elettricità che supporta la nostra difesa nazionale, i servizi di emergenza vitali, le infrastrutture critiche, l’economia e gli stili di vita statunitensi”.

Entrato in vigore a maggio 2020, l’obiettivo dell’ordine era fondamentalmente limitare l’ingresso delle aziende cinesi a un mercato così delicato negli Stati Uniti, e soprattutto alle aziende cinesi governative o sotto l’influenza indiretta del Partito comunista cinese (Pcc). L’amministrazione Trump si era mossa sulla base di un briefing delle agenzie di intelligence che avvisava del rischio di un controllo straniero della rete energetica, con la possibilità di spegnere i rifornimenti grazie a un attacco cibernetico. Non è un’ipotesi remota: è successo in Ucraina nel 2015, quando la rete energetica nazionale è andata in blackout a causa di un’aggressione cyber che gli esperti e l’intelligence Usa hanno ricondotto agli 007 russi.

Il rischio è agevolato dal sistema del procurement americano, aveva allora spiegato il Dipartimento dell’Energia, che, come in Italia fino a pochi mesi fa, si affida al criterio del “miglior prezzo”. A stretto giro, il Dipartimento del Commercio aveva avviato un’indagine sulla base della “Sezione 232” per determinare se il volume di equipaggiamento per la rete elettrica importato dall’estero “minacciasse la sicurezza nazionale americana”.

Lo scorso 16 gennaio, a pochi giorni dal cambio della guardia a Washington Dc, l’ex segretario dell’Energia Dan Brouillette ha approvato “Un ordine di divieto per ridurre i rischi che entità associate alla Repubblica popolare cinese pongono al Bps”, creando un cordone di sicurezza in particolare intorno alle aziende che “forniscono le infrastrutture critiche per la Difesa (Cdf)”.

La sospensione dell’amministrazione Biden non è da leggere alla stregua di un “liberi tutti”. Le criticità del sistema sono anzi riconosciute e per questo è stato predisposto un meccanismo di controllo che passa attraverso il dipartimento dell’Energia e l’Office of Management and Budget (Omb) della Casa Bianca. Saranno queste due istituzioni che valuteranno congiuntamente se raccomandare l’emissione di un ordine sostitutivo al precedente tra tre mesi.

Dal mondo repubblicano non si sono fatte attendere le polemiche. A partire da giornali di tendenza come The National Pulse, che ha ricordato come l’Omb sia oggi guidato da Neera Tanden, già presidente del Center For American Progress, autorevole think tank progressista fondato da John Podesta – ex consigliere speciale per il Clima di Barack Obama e a capo del comitato elettorale di Hillary Clinton nel 2016. Ospite di un recente convegno di Formiche sul clima, Podesta ha ricordato le criticità dell’impegno del governo cinese nel mondo energetico pur sostenendo la necessità di una cooperazione fra Cina e Stati Uniti nel settore, una posizione già difesa quando era alla Casa Bianca.

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