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Il governo italiano fa il tifo per il 5G cinese? È la domanda che si pone chi ha presenziato alle due ore di dibattito organizzate dal colosso tech cinese Zte sulla rete 5G, “Perché avere paura del 5G?”. Il dubbio si insinua, a sentire gli interventi di esponenti del governo e della maggioranza durante la kermesse.

Mirella Liuzzi, sottosegretario al Mise con delega al 5G del Movimento Cinque Stelle, è l’unica rappresentante del Conte-bis ad aver preso la parola. In dieci minuti di discorso, non un cenno sull’enorme partita della sicurezza e sui rischi, segnalati dall’intelligence e dall’alleato statunitense, di far entrare nella rete aziende vicine o comunque permeabili al Partito comunista cinese.

Le stesse segnalazioni che hanno portato dopo una lunga indagine lo scorso luglio la US Federal communication commission (Fcc), l’agenzia a capo delle telco americane, a definire Zte insieme a Huawei una “minaccia alla sicurezza nazionale” perché permette al “Partito comunista cinese di sfruttare le vulnerabilità della rete e compromettere le nostre infrastrutture critiche”. O ancora quelle che hanno spinto un anno fa il Copasir, il comitato bi-partisan di raccordo fra Parlamento e intelligence, a pubblicare un report sul 5G chiedendo (all’unisono) al governo di escludere dalla rete Huawei e Zte, a causa di una legge del governo che impone alle aziende nazionali di collaborare.

“L’Europa deve parlare con un’unica voce, deve assicurare armonizzazione e semplificazione”, ha spiegato la sottosegretaria, senz’altro tra le più competenti in materia. “Questo governo ha adottato importanti politiche di sviluppo dei Servizi connessi al 5G, il 2021 sarà un anno fondamentale – ha proseguito – l’Europa deve riuscire a parlare con un’unica voce, assicurare armonizzazione e semplificazione”.

Dello stesso tenore gli altri interventi in casa rossogialla in una assortita tavola rotonda di parlamentari radunata dall’azienda cinese che davvero non ha precedenti. Ecco allora Enza Bruno Bossio, deputata del Pd (unica esponente del partito invitata al panel) esperta di Innovazione e segretario della Commissione Trasporti, sentenziare: “Dobbiamo dircelo, in questo momento le tecnologie più avanzate hanno un’origine ben precisa. Non si può bloccare, in base a una situazione geopolitica peraltro non verificata, un vantaggio competitivo in Italia”. Tranne un velato cenno al Golden power, non una parola sulla sicurezza del 5G da parte degli altri due ospiti di maggioranza, Luca Carabetta (M5S) e Luciano Nobili (Iv).

L’immagine che ne viene fuori, forse non a caso, è quella di un governo pronto a spalancare le porte al 5G cinese. Quanto di più lontano dalla realtà, visto che tanti esponenti di punta del Pd, su tutti i ministri della Difesa e degli Affari europei Lorenzo Guerini ed Enzo Amendola, non hanno mai smesso di sottolineare gli alert dell’intelligence e degli Usa sui rischi dei provider cinesi, il lavoro del Copasir, la costruzione del “Perimetro cyber” da parte del Dis. Per non parlare delle maglie strette dal governo in questi mesi, a partire dal Golden power rafforzato nel Dl Imprese.

Solo due settimane fa un altro maxi-convegno di cui è stata “platinum sponsor” insieme a Huawei, “5G Italy”, ha permesso a Zte di convocare a corte buona parte del governo italiano, dai ministri Gaetano Manfredi (Università) e Francesco Boccia (Affari regionali) ai viceministri Stefano Buffagni (Mise) e Matteo Mauri (Interno) fino ai sottosegretari Alessandra Todde (Mise) e Angelo Tofalo (Difesa). Ora un’altra vetrina, perfettamente riuscita.

In una precisa (e pensata) divisione dei compiti, solo ed esclusivamente all’opposizione di centrodestra è stato lasciato il ruolo di watchdog. Come Adolfo Urso, vicepresidente del Copasir e senatore di Fratelli d’Italia, che nello spazio a lui dedicato ha messo in chiaro i termini della partita: “Nessun pregiudizio, ma per cambiare la posizione di Zte nella rete 5G italiana bisogna cambiare la legislazione cinese. Finché c’è una legge che obbliga ogni cittadino o azienda a fornire ove richiesto informazioni, bisogna procedere cauti”. Gli ha fatto eco il collega di FdI Federico Mollicone, “è di ieri la notizia che Huawei svilupperà tecnologia per il riconoscimento facciale degli uiguri in Xinjiang. Finché le aziende cinesi dovranno rispondere a richieste del genere, il problema si pone”. La Lega, invitata con il capo degli europarlamentari Marco Zanni, ha preferito tagliare corto dando forfait.

Il tempismo del pressing sarà casuale? La domanda posta una settimana fa da Dagospia non è così peregrina. Con gli Stati Uniti ancora sospesi fra Donald Trump e Joe Biden e un governo italiano diviso sui fondi europei, di cui 47 miliardi di euro andranno al digitale, l’occasione non è mai stata più propizia per un nuovo blitz.

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