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Accanto al terreno di quella che, una volta, si chiamava “lotta politica” emerge un dato, dice a Formiche.net Paolo Franchi, giornalista, scrittore, editorialista del Corriere della Sera e autore per Marsilio de “L’irregolare-biografia di Gianni De Michelis”. Ovvero, che la lotta non è solo lotta, è anche confronto. Potrebbe sembrare questa una parola usurata perché riconduce all’idea di bizantinismi, però anche tra i più duri avversari è positivo il confronto. “Magari altri seguissero l’esempio dei dibattiti tra diversi che vanno in scena ad Atreju”. Questo uno dei passaggi di una articolata riflessione fatta da una penna di lungo corso, che ha visto l’evoluzione e la disgregazione del Pci. Franchi analizza Atreju riflettendola alla feste dell’Unità e all’esperienza, opposta, del M5S dove non c’era reale volontà di confronto.

I dibattiti tra opposti, come ieri con Fausto Bertinotti, non nuovi peraltro nella sede di Atreju, sono utili per confutare le accuse mosse alla destra di chiusura ideologica?

La cosa in sé non è sicuramente un fatto nuovo, perché le feste di Atreju se ben ricordo sono sempre state aperte a partecipazioni esterne, anche di avversari e competitori politici. Ciò rientra in una tradizione lontana nel tempo: da un certo punto di vista Fratelli d’Italia è la cosa più simile ad un partito novecentesco che ci sia oggi in Italia e il partito novecentesco è stato considerato a lungo una brutta parola, quasi un insulto. Mentre invece andrebbe analizzato più a fondo questo concetto: penso alle feste dell’Unità dove si evocano volontari e salsicce, cantanti e attori, e via discorrendo. Penso anche alle feste della Democrazia cristiana o alle iniziative di partiti minori. Ricordo cos’era la festa di Clemente Mastella a Benevento, luoghi di dibattito e non di autocelebrazione, con discussioni animate dai leader politici non solo dei partiti alleati. La cosa inoltre non va considerata un cedimento da parte di nessuno. Io non sono un attento analista della festa di Atreju, però osservo che si riconnette a questa tradizione, che era una tradizione dei partiti del passato, con una divagazione, se posso.

Prego.

Ricordo che i congressi dell’Msi, come mi spiegò quando ero solo un giovane cronista Aniello Coppola, il notista politico di Rinascita Settimanale, erano diversi dagli altri perché quel partito non era al governo quindi non dentro i giochi, almeno ufficialmente. Per cui in quelle riunioni si parlava di mozioni e non del cda della Rai. Coppola sosteneva che erano gli unici che discutevano sostanzialmente di storia e di politica. A me è capitato di seguire un congresso dell’Msi, quello in cui Pino Rauti si riprese per pochi mesi il partito prima di Gianfranco Fini. Parlo di Msi e non di Alleanza Nazionale. E e io mi ricordo che in quell’occasione il tema dominante era la cosiddetta unità socialista e ci fu un intervento di un personaggio molto interessante, che si chiamava Beppe Niccolai, il quale fece un grandissimo discorso. Sostenne che Bettino Craxi faceva benissimo a porre il problema di superare la scissione di sinistra di Palazzo Barberini. E tuttavia che il problema del secolo del socialismo italiano, più ancora che Livorno e Palazzo Barberini, era il 1914 ovverosia l’espulsione e l’uscita di Mussolini dal socialismo italiano. Per tornare al nostro tema, è chiaro che quello era un congresso, mentre Atreju non lo è, ma quei temi di ieri restano comunque di straordinario interesse politico-culturale rispetto anche alla miseria delle discussioni sull’antifascismo a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi.

Impostazione novecentesca dopo i movimenti online, partiti sui territori, dibattiti sui temi: quale il vantaggio di questo modello?

Accanto al terreno di quella che una volta si chiamava “lotta politica”, osservo che la lotta non è solo lotta, è anche confronto. Potrebbe sembrare questa una parola usurata perché riconduce all’idea di bizantinismi. Però anche tra i più duri avversari considero positivo il confronto. Magari altri seguissero l’esempio. Dopodiché Bertinotti, a cui tutto ciò viene abbastanza naturale, venne invitato anche nel 2016, con Gianfranco Fini, ma all’epoca era il leader di un partito. Era un’altra cosa. Invece ieri lo ha fatto da cittadino e pensatore. Per cui penso che una presenza esterna qualificata aiuta a sviluppare un po’ di pensiero anche fra chi siede in sala.

Come confrontare il modello del grillismo con dibattiti fra utenti online e quello di Giorgia Meloni, con una struttura tangibile e dialoghi dal vivo tra opposti?

Il grillismo nasce con un segno e un’impronta esattamente opposta a Fratelli d’Italia in cui Meloni reinserisce le radici novecentesche ricollocando nel simbolo del partito la fiamma, che invece Fini aveva tolto proprio a Fiuggi. Grillo fa nascere il M5S con il Vaffaday. Non so come dire, ma se si immagina il Vaffaday come un atto di nascita vuol dire che non si intende interloquire con il resto del mondo. Ricordate lo streaming di Bersani nel 2013? Altro che interloquire, altro che ascoltare, altro che il confronto: fu l’idea stessa che un colloquio in vista della formazione del governo andasse dato in pasto alla rete. Quella vicenda fu l’opposto della interlocuzione politica. I social di Casaleggio e la modernità presentavano un elemento intellettualmente truffaldino, con anche una certa avversione per la democrazia. Per loro il Parlamento e i parlamentari erano un capitolo della questione criminale.

Ieri Bertinotti sul caso Stellantis ha detto: “Vincono i cattivi non i buoni. E per di più vincono in maniera scandalosa. Vogliamo parlare di Stellantis?”. Una frase, detta ad Atreju, che non ha pronunciato neanche Schlein.

L’attenzione è per il Pd e per cosa dirà, anche perché onestamente Bertinotti possiede una storia tutta interna a quello che una volta si chiamava il movimento operaio, cosa che non potrei dire logicamente del Pd. Quindi che lo abbia detto lui non è sorprendente, diciamo che se avesse avuto ancora una funzione politica importante probabilmente avrebbe tenuto più in alto questo elemento all’interno del dibattito. Mentre altri non lo hanno fatto.

Anche Letta nel Pd aveva provato a fare le Agorà, poi neanche Zingaretti è riuscito a modernizzare le feste dell’Unità, mentre Atreju cresce. Per quale motivo?

Osservo che il vecchio partito (il Pci, ndr) ha tutti i difetti del creato, ma quello che sicuramente non gli mancava era la capacità di esserci e di parlare, non solo sul piano intellettuale, ai più diversi pezzi della società italiana, quindi oggi la sinistra ha questo problema. Si fa la festa di una cosa che non c’è più, perché anche il vecchio giornale dell’Unità ha davvero poco a che fare con l’attuale Unità di Sansonetti. Soprattutto in provincia si fa la quella che dovrebbe chiamarsi per definizione la festa democratica che non vuole dire quasi niente. La gente conosce la festa dell’Unità, non sa cos’è la festa democratica. Però non è solo un problema di nomi, ma di sedi, di luoghi per il confronto, e soprattutto di discussione politica che non c’è. Certo, poi non mi sfugge che oggi viviamo, non solo in Italia, in una tale radicalizzazione dello scontro, con dei tratti anche di primitivismo politico e culturale, per cui una certa interlocuzione rientra nella propaganda, termine che uso senza alcun connotato negativo. In passato a nessuno sarebbe venuto in mente di accoppiare Bonolis e Bertinotti. Anche perché, poi, la lotta politica si fa anche dalle macerie ed è difficile non parlare di uno dei principali responsabili di quanto sta avvenendo, anche per la sua inazione, ovvero Landini.

Atreju e i dibattiti fra gli opposti. Cosa si può imparare secondo Franchi

Una presenza esterna qualificata aiuta a sviluppare un po’ di pensiero anche fra chi siede in sala. Il grillismo? Nasce con un’impronta esattamente opposta a FdI: se si immagina il Vaffaday come un atto di nascita, vuol dire che non si intende interloquire con il resto del mondo. I social di Casaleggio e la modernità presentavano un elemento intellettualmente truffaldino, con anche una certa avversione per la democrazia. Conversazione con l’editorialista del Corriere della Sera

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