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L’asse Giorgetti-Breton non si allenta. E si fa, anzi, sempre più forte. Nella giornata di ieri, infatti, il ministro per lo Sviluppo economico e il commissario Thierry Breton, a capo della task force europea sui vaccini, hanno avuto un ulteriore contatto per discutere ancora di strategia europea e produzione vaccinale anti-Covid. La telefonata, in cui Breton ha avuto modo di confermare l’impegno dell’Europa per garantire ai cittadini una massima e quanto più rapida copertura vaccinale, giunge in seguito all’appuntamento di giovedì scorso, quando i due si erano incontrati al Mise. Il ministro, dal canto suo, ha confermato la disponibilità delle aziende italiane a essere attivamente inserite nel ciclo di produzione dei vaccini già approvati dall’Ema e dall’Aifa.

VERSO UNA STRATEGIA VINCENTE?

Il commissario Breton, del resto, era stato fra i primi a carpire – e sottolineare – la valenza strategica della questione vaccini. Ipotizzando una “piena capacità produttiva per l’Europa già entro fine anno”, aveva però invitato, già un mese fa, i Paesi membri e l’Unione a “guardare anche al vicinato”, con riferimento all’imperialismo vaccinale che stava conquistando sempre più terreno. Facendo sistema con il cambio di rotta avviato dal governo italiano, che appena insediatosi ha tentato di prendere in mano la situazione e adottare policy e misure in grado sia di garantire l’assistenza vaccinale ai propri cittadini sia di sostenere l’industria nazionale.

DOSSIER VACCINI, DALLA SALUTE AL MISE

La salute, insomma, non è più solo questione sanitaria. Non a caso il dossier è ormai da settimane nelle mani di Giorgetti e non più del ministro della Salute Roberto Speranza, come invece è avvenuto durante il governo Conte. Testimone che forse avremmo potuto (o dovuto) passare già un anno fa, quando allo scoppio della pandemia per garantirci un approvvigionamento di mascherine e respiratori attendevamo a braccia aperte l’aiuto degli alleati (e non).

GIORGETTI-BRETON, UN ASSE CHE NON SI SPEZZA (ANZI)

Con il vaccino rischiamo di fare lo stesso, come del resto già stiamo facendo. A meno che l’asse Giorgetti-Breton, che sembra funzionare sulla carta, non si riveli altrettanto vincente anche nella pratica. “Il governo italiano garantisce massima disponibilità sia in termini di strumenti normativi che di mezzi finanziari all’industria farmaceutica italiana per predisporre ogni tipo di strumento al fine di produrre un vaccino contro il Covid”, aveva dichiarato con fermezza Giorgetti pochi giorni fa in occasione dell’incontro con i vertici di Farmindustria, confermandolo poi anche ieri nella telefonata con Breton.

SUPPLY CHAIN E AUTARCHIA SANITARIA

Sul tavolo della discussione, dunque, non c’è solo la questione sanitaria, ma quella di ben più ampia portata che riguarda l’approvvigionamento nazionale di beni e servizi fondamentali e l’indipendenza, irrinunciabile, da Paesi i cui valori non sono condivisi. La sovranità vaccinale, come ormai dovrebbe essere evidente da settimane, dovrebbe giocarsi sull’asse democrazia vs autoritarismo. “La Russia è in grandissime difficoltà, non è in grado di produrre vaccini. La Cina è molto indietro”, aveva detto Breton, seguito da Giorgetti. “Ue e Usa sono in grado di produrre vaccini per tutto il mondo, per noi e per gli altri”, aveva rincarato il ministro. L’obiettivo, dunque, non è quello di limitarsi a una partecipazione delle aziende italiane alla fase finale della supply chain, cioè l’infialamento, ma risalire la catena fino all’origine, ovvero la produzione del bulk, il principio attivo dei vaccini.

DUECENTO MILIONI PER I VACCINI MADE IN ITALY

A ulteriore dimostrazione della comunione d’intenti, i 200 milioni di euro appena stanziati con decreto ministeriale alla riconversione industriale per la loro produzione che vanno ad aggiungersi alle risorse già previste nel decreto sostegni per la creazione del Polo per la vaccinologia e farmaci biologici. E la nomina di Giovanni Tria, già ministro dell’economia, come consulente economico sul dossier vaccini per la parte che riguarda la produzione industriale nazionale e i rapporti con l’Ue. Una scelta strategica che conferma la volontà di Giorgetti, e del nuovo governo, di non lasciare ancora una volta indietro il Paese.

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